Peschiera Maraglio, il borgo
Una guida turistica esperta di Peschiera Maraglio vi porterà in visita nel paese dove l’impatto con il lago è forte, sembra sorgere direttamente dall’acqua, le case sono addossate su una lingua di terra che sfiora l’acqua. Il paese riflette, nella sua struttura, la storia dei pescatori, il loro sistema di vita, la loro organizzazione sociale.
Il lago d'Iseo qui è sempre stato fonte di vita, la barca il mezzo indispensabile. Come suggerisce il nome è da sempre un luogo di pesca e di pescatori.
È il paese più conosciuto e turistico dell’isola perché si trova a soli 800 mt dalla terra ferma.
L’economia di questo luogo si basava su 3 specifiche attività:
- la pesca (praticato fino a 40 anni fa da tutti gli uomini che qui abitavano)
- la costruzione delle barche
- la fabbricazione delle reti
Lungo il bordo del lago sono ancora molti i naècc, le caratteristiche barche da pesca dalla forma lunga e affusolata. Quella tradizionale era di 7 meri di lunghezza, con l’aggiunta del motore è stata accorciata di mezzo metro. La larghezza massima è di circa 1,5 metri. E c’è un fondo di circa 80 centimetri per riporvi il pesce.
I remi sono di castagno, il legno viene lasciato immerso nell’acqua tre mesi prima di lavorarlo. Per la barca i usa il castagno selvatico per l’intelaiatura, e il larice per tutto il resto. Un tempo si usavano i castagni esistenti sull’isola, e i tronchi venivano lasciati immersi in acqua per più di 2 anni affinché raggiungessero la consistenza necessaria. Per costruire una barca di queste Decio Archetti, costruttore di barche, impiega 100 ore di lavoro. La portata di un naècc varia dai 5 ai 10 quintali. Il loro colore determinava la provenienza, completamente neri per quelli di Carzano, a tre colori a Peschiera. Così i pescatori si riconoscevano a distanza.
Scoprirai nella visita a Peschiera Maraglio che la struttura urbana è composta da stretti vicoli, uniti spesso da archi, volte, scale interne. Un ambiente tutto collegato dove lo spazio domestico è strettamente legato allo spazio collettivo: il lago era luogo di lavori, di relazioni. Un tempo le stradine portavano direttamente ai pontili dove si attraccavano le barche, il lungolago non esisteva fino al 1850. Le viuzze sono spesso paragonate alle calli veneziane e camminandovi si entra nella dimensione lacustre del paese che nell’Ottocento colpiva profondamente pittori e scrittori.
Oggi non vi sono più le donne sull’uscio che lavorano le reti o gli uomini che pescano con le braccia lunghe e penzolanti.
Però qui continua una tradizione culinaria molto interessante: l’essicazione e la conservazione del pesce. Vedremo nella visita a Peschiera Maraglio che i pesci essiccati al sole e conservati sott’olio sono la sardina, il cavedano, il pesce persico. La tecnica è questa: il pesce appena pescato viene pulito, lavato ed asciugato, si stende per 24 ore sotto sale, poi tolto dal sale e rilavato, il pesce viene appeso a gancetti fissati su una apposita intelaiatura in file parallele. La tradizione vuole che il pesce fosse infilato in rami di frassino o carpino. Il pesce viene esposto al sole per 5 o 10 giorni, secondo il clima più o meno caldo. Quando l’essicazione è al punto giusto, il pesce viene stivato con arte in contenitori di ferro, pressato e separato dall’aria da uno strato d’olio (lo si infila a strati in appositi recipienti smaltati). Dopo qualche mese di maturazione il pesce cambia colore e può essere mangiato cotto qualche minuto sulla brace ardente oppure condito con olio prezzemolo e aglio e servito con polenta. È un piatto dal colore intenso e particolare che ha una tradizione millenaria. Sembra che risalga ai tempi di quando i pescatori avevano l’obbligo di consegnare un determinato numero di sardine essiccate al monastero di S. Giulia. Questo pesce, tenuto pressato sott’olio, dura un anno: per questo è sempre stato il piatto dei poveri, una geniale invenzione dei pescatori che in questo modo potevano conservare il pesce pescato in grande quantità in certi periodi senza frigorifero.
Le reti sono lo strumento indispensabile. Durante la visita a Peschiera Maraglio scopriremo che qui sorsero i primi retifici, vere e proprie industrie che occupavano centinaia di addetti: anziani, bambini e intere famiglie erano impiegati nella lavorazione in fabbrica o a domicilio delle reti d’estate all’aria aperta, sull’uscio di casa, o a gruppi su grandi tavoli nelle piazzette.
Oggi i grandi retifici non ci sono più ma ancora imprese artigianali che continuano a produrre reti che si esportano in tutto il mondo.
Fino a 35 anni fa le reti si facevano ancora a mano, oggi son arrivate le macchine, e quindi se un tempo serviva un giorno in due persone per fare una rete da campo da calcio, oggi basta 1 ora. Un lavoro che un tempo occupava tutti gli abitanti di
Montisola, nel 1910 vi erano 10 industrie di reti, i monti solani erano tutti retai o pescatori: si lavora nelle fabbriche, in casa, ma soprattutto nelle piazze e nelle strade, che diventano veri e propri laboratori.
Il lavoro delle reti non consiste solo nel tesserle annodando il filo, ma nel districarle, montarle, rifinirle, ripararle, rammendare quelle usate, tingerle del loro caratteristico color ruggine, ottenuto facendo bollire bucce di castagna, appositamente trattate, che le rendevano ancora più resistenti. Negli anni Cinquanta viene introdotto il nylon, che provoca una vera e propria rivoluzione nella lavorazione delle reti, il cotone sparisce a favore del nylon che ha il pregio di essere indistruttibile, resistenti ai microrganismi dell’acqua, comporta però una lavorazione diversa e macchine nuove, e infatti le industrie cercano di dotarsi di tecnologie moderne.
La rete ha sicuramente condizionato il destino della donna, la cui vita era indirizzata fin dalla nascita, intrappolata senza via d’uscita da nodi e reti. La ragazza che studiava era una rarità: soltanto negli anni Settanta si avrà una donna laureata.
Parrocchiale di S. Michele Arcangelo
Dai documenti sappiamo che esisteva già dal 1334. S. Michele è un santo longobardo, e quindi si suppone che la chiesa esistesse precedentemente. Quella di oggi fu consacrata dal Vescovo di Brescia il 14 maggio del 1648: si presenta a pianta rettangolare con presbiterio e abside; la copertura è a botte. Fu affrescata nel Settecento dal pittore bolognese Francesco Monti. L’interno si presenta riccamente decorato con stucchi e numerosi affreschi variopinti abbelliscono la chiesa.
Di ottima fattura sono gli affreschi così come da segnalare sono le statue in legno della bottega dei Fantoni.