La festa dei Fiori di Carzano

Un evento spettacolare rimandato al 2021

Festa di Santa Croce

Carzano su Monte Isola 

Il luogo è rinomato per la quinquennale “Festa di Santa Croce” in occasione della quale il paese si addobba con archi di fiori e fronde, festoni e luminarie. Si tratta di una festa di ringraziamento per la fine di un’epidemia di peste o colera. Per l’occasione il paese viene letteralmente coperto di migliaia di fiori di carta, realizzati con maestria a pazienza da tutte le donne di Carzano. È una tradizione fortemente voluta dagli abitanti che non vogliono venga interrotta perché simbolo di coesione e fratellanza
Alcuni fanno risalire la tradizione alla peste di manzoniana memoria del 1630, altri invece all’epidemia di colera asiatico del 1835, quando su tutta l’isola morirono 48 persone, di cui 17 di Carzano. Nei documenti parrocchiali si legge che “il morbo passò come per incanto dopo il passaggio della Santa Croce”. In quell’occasione, i Carzanesi, in segno di ringraziamento per il cessato pericolo, vollero indire feste quinquennali in onore della Santa Croce, la cui reliquia veniva gelosamente custodita nel Tabernacolo della chiesa. Oggi il sacro legno è conservato in un reliquiario d’argento a forma di croce del XVIII secolo. 
Attualmente l’organizzazione delle feste è demandata ad un gruppo di dodici persone elette fra i residenti e gli oriundi del paese. Il comitato è responsabile della programmazione della manifestazione la cui attuazione è resa possibile solo tramite la collaborazione della popolazione. A partire dall’anno successivo all’ultima edizione, la popolazione si autotassa versando un contributo mensile che è poi usato per finanziare la festa. Un mese e mezzo circa, prima dell’inizio della Festa, iniziano i lavori di preparazione per l’addobbo delle vie del paese. Un tempo le donne realizzavano solo rose, ma le ultime manifestazioni son diventate sempre più un’esplosione di luci e fior; le famiglie del paese fanno a gara per produrre gli addobbi migliori e più verosimiglianti. Le dita svelte di donne, ragazzi, uomini confezionano pistilli, piegano petali: nascono così per incanto orchidee, rose, fiori di pesco, fucsie e buganvillee. Il tutto nel più assoluto riservo perché nessuno deve vedere, sapere, fino al grande giorno. Così si consumano le lunghe sere invernali, da una festa quinquennale all’altra. Nell’edizione del 2010 per ornare il Paese sono occorsi 160.000 fiori di carta, sette camion di ramaglie di pini prenotati in Valcamonica, recuperati dalle potature e dal taglio dei boschi, diecimila luci bianche per illuminare i contorni degli archi, duemila per seguire la sagoma del campanile della chiesa, centro della festa. 

La festa del 14 settembre

Della croce si persero definitivamente le tracce nel 1187 quando venne tolta al vescovo di Betlemme che l’aveva portata nella battaglia di Hattin. In base alla tradizione essa fu ritrovata dalla madre dell’Imperatore Costantino, Elena, che la fa portare a Costantinopoli e da lì avviene la diffusione delle reliquie. Al di là di tutto, la croce ha un valore fortemente simbolico per i Cristiani: Cristo si fa uomo e si sottomette volontariamente all’umiliante condizione di schiavo  e il supplizio viene trasformato in gloria imperitura (la parole croce deriva dal latino crux, cioè tormento, ed era riservata agli schiavi). 

Centro storico

Sul centro storico, attraversato da una stretta strada, formato dalle case degli antichi pescatori e traghettatori, affiancate le une alle altre, si eleva la chiesa parrocchiale settecentesca di S. Giovanni Battista. Sulla stretta strada principale si affacciano scalinate, cortili, logge, antichi portali, inaspettati orti lacustri, palazzi signorili. Dal Quattrocento al Seicento infatti furono qui costruite case signorili per vacanza o per rifugio da epidemie che con il passare dei secoli si sono aggregate e mescolate alle abitazioni semplici formando un compatto e armonioso agglomerato abitativo. Nel passato il lago era l’unica risorsa e l’attività principale era la pesca. Oggi mancano le reti appese ai muri ad asciugare, ma si può scorgere ancora sui balconi il pesce messo ad essiccare al sole. 

Chiesa parrocchiale  

Anche la secentesca chiesa ricorda un passato legato alla pesca: è dedicata a San Giovanni Battista e perfettamente orientata con la facciata a Est. L’attuale chiesa barocca a pianta ottagonale fu ricostruita sulle vestigia della chiesetta esistente nel 1580 e visitata da S. Carlo Borromeo. Internamente si trova l’altare maggiore della distrutta chiesa dell’isola di San Paolo, trasportato dai muratori che, alla fine dell’Ottocento, avevano l’ordine di demolire e buttare nel lago i resti dell’antico fabbricato. Nelle nicchie della facciata si conservano le statue dei Santi Pietro e Paolo, di Giovanni Battista e Ambrogio. Gli anziani del luogo hanno ribattezzato la chiesa “San Gioan de le sardene”, poiché il santo patrono è festeggiato il 24 giugno, giorno della pesca delle sardine. Era una giornata significativa per i pescatori: coincide con l’ultima fregola, momento in cui le sardine a branchi si avvicinano alla riva a deporre le uova. Quel giorno rappresenta l’ultima possibilità di una pesca copiosa: A san Gioàn chi l’a mia ciapàt l’è tot so dan (ndr. chi non pesca a s. Giovanni ne subirà le cnseguenze negative) Raccontano i pescatori che un tempo, a S. Giovanni, le sardine appena pescate venivano cotte fuori dalla chiesa e distribuite a tutti. Era un’attesa occasione per i poveri e i viandanti di mangiare liberamente a sazietà il pesce che nella quotidianità era esclusivamente destinato alla vendita. 

Struttura urbana

Carzano conserva due porticcioli, popolati da numerose barche di pescatori, che un tempo mettevano il pesce ad essiccare sui poggioli, sui balconi, sulla strada. È un paese che dimostra subito nella sua struttura lo stretto rapporto con l’acqua. Le case sono direttamente a contatto con il lago, la stessa porta spesso è sull’acqua, anzi sulla barca. Lasciati i vicoli ci si incammina per una caratteristica scalinata che porta alla frazione di Novale, piccolissimo agglomerato di case del Cinquecento e residenza estiva del vescovo di Brescia Marco Morosini (1645-1654). Qui sembra che il tempo si sia fermato, ancora oggi si possono scorgere alcune donne intente a lavorare la rete sull’uscio che si affaccia su una minuscola piazzetta, simile ad un cortile; rudimentali attrezzi agricoli appoggiati ai muri, pannocchie appese, pesce a essiccare sui poggioli, e reti dei pescatori stese ad asciugare; un intersecarsi di poggioli di legno sostenuti da grosse travi; una colonna con uno stemma vescovile. 
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