Visite guidate in Franciacorta

Il vino con le bollicine prodotto col metodo classico

Franciacorta, il vino

Organizzare una visita guidata in Franciacorta può essere molto più semplice grazie all'aiuto di una guida turistica esperta che sarà in grado di farvi ammirare e capire le bellezze di questa particolare zona della provincia di Brescia. Per "assaporare" al meglio la zona della Franciacorta, è utile un tour panoramico attraverso queste soffici colline che si dilatano dall'autostrada fino al Lago di'iseo e fino alle porte di Brescia. Durante il tour di questa particolare area della Franciacorta si possono incontrare Castelli, dimore storiche, Abbazie e Monatseri, molto suggestivi e con una storia da raccontare. 

Tra Brescia e Iseo

A pochi chilometri dalla città di Brescia si trova una zona collinare nota in tutta il mondo per la produzione di un noto vino: il Francacorta. Uscendo al casello di Rovato è possibile effettuare un suggestivo percorso fra le soffici colline di questa splendida zona che ci porterà alla scoperta di castelli, cinte murarie, ville circondate da vigneti, come a Bornato, oppure di centri religiosi, come l’antica abbazia olivetana di San Nicola a Rodengo Saiano, un importante monumento fondato nel X secolo dai monaci di Cluny e retto poi dai monaci Olivetani, ricco di affreschi del Foppa, di Lattanzio Gambara e del Romanino. 

Tra Rodengo, Monticelli e Ome

Non solo vino; durante la visita in Franciacorta vedrai un angolo appartato di questa zona, chiuso a oriente e a settentrione dalle montagne triumpline e separato dalla pianura dalla strada per Iseo, questa zona ha un aspetto diverso dal resto della Franciacorta. Qui il consueto paesaggio morenico, dai profili morbidi e regolari, diventa più mosso, accidentato, fino ad assumere, in alcuni tratti, caratteristiche quasi montane. In effetti in questi luoghi l’azione dell’antico ghiacciaio camuno, meno potente nelle sue lingue marginali, è stato ostacolato dalle montagne prealpine.  
Guida Turistica Franciacorta

Franciacorta e il vino 

Franciacorta è ormai il nome di un vino blasonato, dal fine, persistente e cremoso perlage, che ormai nessuno chiama più “lo champagne italiano” perché ha saputo conquistarsi una fama tutta sua. 
Anche se comunque è figlio degli insegnamenti lasciateci in eredità da Dom Perignon ed anche lui è prodotto con le uve di Chardonnay e possibili aggiunte di Pinot bianco o nero
Nella zona collinare montuosa compresa fra Ome e Monticelli si stende un substrato calcareo che permette alle radici della vite uno sviluppo propizio alla formazione di alcol e profumi. 

Il segreto dell’uva di Franciacorta: dalla pergola al filare 

Durante la visita in Franciacorta si parlerà di come questa zona abbia cambiato aspetto negli ultimi 30 anni. Le viti allineate nei filari sono basse e distendono i tralci lungo il filo di ferro; i ceppi fitti fitti, i grappoli pochi e buonissimi. È l’impianto Guyot, infatti, che prevale ormai nei vigneti convertiti verso gli anni novanta ai criteri dell’eccellenza qualitativa. Rare pergole sono il residuo di vigne che risalgono ad almeno quarant’anni fa, preistoria enologica per questa zona. 
Abbandonata la tradizionale sistemazione a pergola, la moderna viticultura impone nuovi metodi: elevata densità di ceppi, piante tenute basse da sembrare fragole e con pochi grappoli sono la ricetta per ottimizzare la resa per ettaro e la qualità del prodotto. In base al Regolamento del Consorzio la fittezza minima deve essere di 3.300 piante per ettaro. Oggi si è arrivati a 4.000, a volte 5.000 ceppi. Non siamo ancora ai livelli di certe zona francesi dove le viti sono così basse e fitte da sembrare piantine di fragole, ciascuna con 3-4 grappoli d’uva, non di più. Ma anche qui c’è chi spinge per 8.000 ceppi per ettaro. E il confronto è sia di qualità che di quantità. Un vecchio vigneto può produrre a malapena 60 q. per ettaro, un guyot a 8.000 piante ne può produrre più del doppio. Anche i vitigni sono cambiati, in base al disciplinare del DOC Franciacorta ne sono stati definiti quattro: cabernet, merlot, barbera e nebbiolo. Gli ultimi due vengo usati sempre meno, quindi si utilizzano meno i vitigni italiani a vantaggio dei cloni francesi. 

Dagli acini alle bollicine 

Dopo la vendemmia, le uve di Chardonnay, Pinot bianco e Pinot nero sono sottoposte ad una pressatura “soffice” da cui esce il mosto che prima si sfeccia e poi si lascia fermentare finché gli zuccheri dell’uva si trasformano in alcool. Nascono così i “vini base”. In primavera si compongono le cuvées, le unioni fra vini diversi per origine ed età. 
La cuvée, filtrata e imbottigliata, è arricchita con uno sciroppo di tiraggio composto di zuccheri e lieviti che inducono nel vino la seconda fermentazione. In questa fase, nelle bottiglie chiuse da tappi a corona, si sviluppa anidride carbonica – le bollicine – in misura proporzionale al dosaggio di zucchero. Dai 20 ai 24 grammi per litro generano gas che in bottiglia raggiunge le cinque / sei atmosfere di pressione abituale. In questa fase le bottiglie giacciono accatastate, disposte orizzontalmente a formare muraglioni che foderano i corridoi delle cantine, per diciotto mesi almeno, ma potrebbero restare così per alcuni anni, ad invecchiare per far sprigionare armonie sempre più elaborate. La presenza dei lieviti crea però un deposito la cui eliminazione a fermentazione avvenuta richiede uno dei più sofisticati procedimenti di accadimento del vino. Le bottiglie sono infatti infilate nei pupitres, piani inclinati con un allineamento di fori ogivali che permettono di inclinarle gradualmente fino a raggiungere la posizione verticale, mentre vengono anche ripetutamente ruotate di una frazione di giro per volta nell’operazione del remuage che favorisce anch’esso la discesa del sedimento verso il tappo. Dopo un mese all’incirca il vino è limpido e le bottiglie sono “in punta” (a collo in giù). A questo punto interviene la sboccatura (dégorgement), parziale svuotamento della bottiglia che ha lo scopo di eliminare il sedimento. Questo lo si ottiene con una macchina che raffredda il collo trasformando il deposito in un tappo di ghiaccio, pronto a liberarsi per effetto della pressione interna non appena la bottiglia viene aperta. Quindi le bottiglie sono nuovamente colmate con l’aggiunta del liqueur, miscela di vino con zucchero e altri ingredienti che fanno parte delle ricette rigorosamente segrete di ogni cantina, che conferisce il carattere specifico al Franciacorta oltre a determinarne la tipologia (extra brut, brut, secco ...). così le bottiglie sono chiuse con i tappi a fungo ben inguainati nella gabbietta di metallo che ne garantisce la tenuta sotto pressione. Agitate ancora una volta per miscelare perfettamente il contenuto, devono infine riposare circa due mesi per stabilizzarsi, a temperatura controllata fra i 15 e i 18 gradi e a umidità costante, nel buio delle cantine. 
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