Cenni storici
Di essa si hanno notizie fin dal X secolo, la si vuole addirittura fondata dal famoso abate di Cluny, Odilone, trasformata una prima volta nel XII secolo, durante il pieno fervore dei pellegrinaggi romei, venne successivamente rinnovata a partire dal 1446, quando conclusosi un cinquantennio di cattiva amministrazione commendataria, il priorato di Rodengo fu assegnato ai Monaci Olivetani. I lavori si conclusero nel 1490 con la consacrazione solenne della chiesa abbaziale, che si presentava a navata unica, con navatella per la preghiera dei monaci, intelaiata stilisticamente con elementi e strutture tardogotiche.
Interventi di ripristino o rifacimento ebbero luogo nel secolo successivo e riguardarono l’intero complesso abbaziale, compresi gli splendidi chiostri, altri lavori seguirono nel Seicento. L’ultimo, particolarmente importante, lo si dovette all’abate Flaminio Marino che tra il 1725 e il 1731 chiamò ad abbellire la chiesa i noti freschisti Giacomo Lechi e Giovanni Castellini di Monza e Giovan Battista Sassi di Milano, quest’ultimo già famoso quadraturista. Essa trasformarono l’interno della chiesa e alcune stanze adiacenti, creando davvero un capolavoro decorativo di arte barocca.
Interno
L’interno della chiesa è uno spettacolo di rara bellezza e di fantasia compositiva. Il telaio tardogotico della fabbrica, rispettato nelle strutture portanti, si è arricchito di partiture illusionistiche strane: le volte, trasformate in balaustrade tardobarocche, si rincorrono magicamente, creando in alto spazialità prospettiche colorate, popolate da figurazioni gigantesche, allegoriche, come se tutto l’interno dell’edificio non fosse altro che un teatro destinato ad ospitare spettacoli capricciosi.
Seduti tra i banchi dell’area plebana assistiamo ad un’ideale rappresentazione liturgica, svolta nell’affascinante scenografia che moltiplica le combinazioni spaziali, trasferendo in un cielo astratto metafisico i segnali di una cultura di immagine che i secoli XVII e XVIII con grande libertà hanno interpretato.
Vengono facili alla memoria le testimonianze letterarie o le cronache di illustri viaggiatori quando descrivono solenni riti, processioni, celebrazioni ufficiali della chiesa avvenute seguendo precisi rituali. Il tutto avveniva nello sfarzo di paramenti preziosi, arredi d’altare straordinari, luci intelligentemente pilotate e il canto sacro, accompagnato dai maestri cantori disposti sulle due cantorie del presbiterio vicino all’organo, più o meno a contatto con le vere e proprie orchestre con le quali a gara strumenti ad arco e ottoni creavano atmosfere esaltanti. Non sarebbe potuto essere diverso qui a Rodengo, in una chiesa iconograficamente complice del genio dell’arte, che nel catino delle pseudo-cupole vede raffigurate l’incoronazione di Maria, la morte del Beato fondatore dell’ordine olivetano Bernardo Tolomei, e la fastosa Gloria di San Benedetto.
Un presbiterio, inoltre, dotato di un nobile altare, realizzato con puntuali intarsi barocchi marmorei, opera firmata da Paolo Binago e datata 1688.
Aggiriamo l’altare e visitiamo un altro capolavoro di artigianato artistico: il coro, comprendente 31 stalli dagli alti schienali intarsiati con immagini prospettiche di interni di cortili, intagliato sapientemente nelle modanature dal pavese Cristoforo Rochi nel 1480.
Navata sinistra
La navatella sinistra, originariamente destinata alla preghiera individuale dei monaci, accoglie altari barocchi, in genere decorati con composizioni floreali e figurazioni allegoriche da Gian Battista Sassi. Sono la Cappella della Trinità, quella dei Santi Pietro e Paolo, del Beato Tolomei, della Madonna del Rosario e di Santa Francesca Romana. L’ultima, la più elaborata decorativamente, con complicate prospettive di scale, ballatoi e finte volte, ospita il simulacro di Maria Bambina, legato ad un culto privilegiato degli Olivetani.
Sacrestia
Di rara fattura è la porta che introduce dal coro della chiesa alla sacrestia: opera di certosino intarsio ligneo, dovuta al monaco olivetano Frà Raffaele da Brescia, messa in cardine nei primi decenni del Cinquecento.
La sacrestia, arredata con severi armadi seicenteschi, ospita varie opere di pittura, tra cui una Madonna e Santi, discussa opera del Romanino.
Gli affreschi della volta, con la Gloria di Santi Olivetani, sono del Barbelli. Di lui ancora 11 lunette con gli episodi della vita di San Benedetto, tratti dai Dialoghi di San Gregorio Magno.
Chiostro della cisterna
Viene chiamato così per via di un pozzetto centrale sormontato da un’edicola in ferro battuto di moderna fattura. il chiostro realizzato nel sedicesimo secolo ad archi serliani giustapposti, sostituisce un altro edificio, probabilmente costruito dai cistercensi nel XII secolo. Sulle facciate poste a mattina, mezzogiorno e sera, ospita tre interessantissime meridiane. Quella a mattina, datata 1785, quella a mezzogiorno, datata 1648, sul lato sera si affaccia la cinquecentesca aula capitolare, con al centro un bel sepolcreto terragno destinato ai monaci. Una elaborata prospettiva del Castellini decora l’angolo del lato sera.
Antirefettorio e Refettorio
Introdotti nel mondo mistico della vita abbaziale, ci attendono due eccezionali stanze. L’antirefettorio e il refettorio. Esse costituiscono il cuore conventuale dell’abbazia e si raccomandano per la squisitezza delle rispettive decorazioni pittoriche.
L’antirefettorio ospita sulle pareti 23 riquadri raffiguranti altrettante scene bibliche. Mentre il soffitto accoglie un capolavoro del cinquecentesco Lattanzio Gambara, raffigurante il tema del Cap. settimo dell’Apocalisse che dice: "la salvezza di Dio e la turba dei contrassegnati dal Tau sigillare". L’intero complesso è stato di recente, nel 1992, ripulito e restaurato.
Grande spettacolo dell’arte, entriamo con giustificata soggezione nel vasto salone del refettorio sopraelevato durante i lavori di revisione abbaziale nella seconda metà del Sedicesimo secolo e costipato alle pareti da affreschi in monocromo borromito raffiguranti le allegorie delle virtù.
Forte e solenne è l’inquadratura coreografica, condotta con abile maestria compositiva, ma soprattutto strettamente pertinente alla funzionalità dello spazio, da intendersi questo nello spirito benedettino del motto Ora et Labora, in cui il termine della preghiera è inteso come manifestazione non solo spirituale e religiosa, ma anche come assunzione di più vasta cultura generale. Tale cultura si traduce in scintillanti balconate dipinte nella volta con audaci e inusitate prospettive trompe l’oeil svolgentesi entro una vera e propria selva di colonne. Ai vari balconi si affacciano personaggi di diversa estrazione etnica, vestiti con abiti sgargianti, commentatori raffinati, eleganti, abitanti di una città ideale, che forse è il Paradiso, o più ragionevolmente un luogo di festosa associazione. Colonnati, balconate e figure accompagnano il passo del visitatore, apparendo e rientrando mano a mano che quello percorre la lunghezza del refettorio. Sulla parete di fondo, sottolineata dall’ammonizione Silentium, è un’interessante Crocifissione della scuola del Foppa, il cui sfondo è rappresentato da un’enorme castello dietro il quale si apre il Lago di Garda, concluso dai lievi profili dell’altipiano morenico.
Al primo piano c’è una galleria di 106 metri, dove si trovano le celle.
Chiostro con maioliche
è il più imponente, con i suoi 38 archi al piano terra e 56 al piano superiore, stilisticamente riconducibile alla tradizione claustrale quattrocentesca lombardo veneta. Ancora una ragguardevole architettura di cui non si conosce l’autore, ma che ugualmente spicca nel complesso generale della vecchia abbazia olivetana, costruito al rientro dei monaci nel priorato, tra il 1450 e il ’70. in particolare, nel bianco che intona le forme al paesaggio, si segnala al lato sud il bellissimo cornicione rinascimentale, esaltato da una fascia decorativa di maioliche invetriate policrome, simili a quelle alloggiate sui salienti della facciata della chiesa.
Inoltre alla convergenza delle cornici in cotto che segnano gli archi, si intravedono pallide raffigurazioni in affresco: abati e monaci illustri che qui sono vissuti o che con l’abbazia hanno avuto rapporti culturali o di pura spiritualità. Questo chiostro rappresenta il cuore operativo della comunità monastica.