Visita guidata al Teatro Olimpico di Vicenza

Un gioiello nascosto in un cortile

Teatro Olimpico

Il Teatro Olimpico di Vicenza è il fiore all'occhiello del Comune di Vicenza, un vero e proprio biglietto da visita, una delle 7 meraviglie artistiche presenti in città, da non perdersi. Fu l'ultima opera del Palladio lasciata incompleta sulla carta, e come tutte le opere di ogni autore che arriva al supremo traguardo deve essere guardata come una sintesi del suo lungo e fecondo passato artistico

Precedenti storici

Lo spazio recintato all'interno del quale si trova il Teatro Olimpico era denominato "delle prigioni vecchie", in relazione alla sua antica funzione. All’inizio del 1580 l’Accademia Olimpica richiese al Comune di Vicenza di poter costruire in questa area in parte dismessa un luogo per le loro rappresentazioni e che fosse anche fissa della loro Accademia. Il Comune, sentita l’autorità veneziana, acconsentì, e in modo estremamente veloce venne definita la parte burocratica. Il Palladio aveva inseguito per molti anni l’aspirazione di costruire un teatro, il progetto era nel cassetto da tempo, lo propose agli Accademici e glielo approvarono. La fabbrica quindi venne iniziata nel 1580, ma nell’agosto dello stesso anno muore. I lavori verranno portati avanti dal figlio Silla e da Vincenzao Scamozzi, il quale fece aggiungere la scena fissa per l'inaugurazione svoltasi il 3 marzo 1585. Per inaugurare l'Olimpico fu scelto l'Edipo Tiranno di Sofocle e perciò Scamozzi fece riprodurre la città di Tebe e si occupò dell'illuminazione, che doveva imitare la luce solare del giorno.

Descrizione

Gli ingressi alla visita guidata di oggi non esistevano. In origine gli spettatori prendevano posto sulle gradinate scendendo dalle logge, quasi un ingresso monumentale che permetteva la visione di cavea e proscenio. 
Superato il senso di meraviglia di un teatro che pare vivo anche quando nessuna azione si svolge sulla scena, lentamente, camminando sul gradino più alto ci si sposti al centro della cavea e da qui si abbracci con un solo colpo d'occhio l'imponente frons scaenae senza lasciarsi turbare dal giochetto delle prospettive che attraggono subito il visitatore impreparato. 
Anche senza tante riflessioni ci si accorge subito che il perno su cui ruota tutto lo spazio dell'Olimpico è la cavea. È da questa invenzione a curva ellittica che muove ogni altro elemento. I tredici gradini si espandono fino a che l'ultimo viene a toccare nel punto di massima espansione la parete dell'edificio: la cavea così costituita dà origine all'orchestra. 
Poichè lo spazio interno è limitato, Palladio realizza una cavea ellittica anziché semicircolare, ed è per questo che l'orchestra risulta schiacciata. Proscenio, orchestra e cavea non riescono perfettamente a fondersi, anche perchè Palladio muore prematuramente, e si può ipotizzare che con alta probabilità in corso d'opera il Maestro avrebbe escogitato soluzioni alternative per evitare l'odierno compromesso. 

Frons scaenae

Sarebbe errato scambiare la frons scaenae del teatro di Palladio con quella del teatro degli antichi: nell'Olimpico, il Maestro, vuole citare l'arco trionfale romano, in modo particolare quello di Settimio Severo presso il Campidoglio, su cui aveva compiuto diligenti studi e rilievi. Se l'arco trionfale romano era una costruzione che doveva esaltare il nome del vincitore scandito nella sonante epigrafe dedicatoria, l'arco trionfale dell'Olimpico doveva esaltare Ercole il creatore dei giochi olimpici, il dio protettore dell'Accademia, le sue imprese e con lui i nobili accademici che bene avevano operato nella vita politica e culturale della città. La frons scaenae dell'Olimpico è dunque un arco trionfale quadrifronte con le facciate proiettate all'interno invece che all'esterno. 
Con un colpo d'occhio che abbraccia l'imponente facciata si coglie già subito quel senso di tragico e drammatico che pervade il mirabile spazio. Non c'è momento di stasi, tutto è un concitato fremere di gesti, di pose magniloquenti delle statue, di vibranti e accesi accostamenti di elementi architettonici, tale che anche se il proscenio è vuoto e non c'è alcuna rappresentazione, l'impressione che si prova è quella di vedere la scena di un grande teatro nel momento culminante di una recita

La cavea

Anche se il visitatore non degna che di un rapido sguardo questa parte del teatro, attratto d'improvviso dalla suggestiva visione del proscenio e delle scene, le gradinate restano uno dei punti più alti raggiunti dal Palladio. Non tanto viste dalla parte dello spettatore, quanto dalla parte dell'attore. 
Uscendo dalla porta regia della frons scaenae poco prima di passare sotto l'arco, l'attore ha l'impressione che tutta la cavea, come fosse la punta di un cono, si proietti verso di lui e l'espansione della curva dell'ellisse sembra correre verso l'infinito. È proprio in questo punto che la voce del recitante si diffonde perfetta senza forzature fino ai posti più lontani della cavea e della loggia. Un passo più avanti e cominciano le difficoltà acustiche. Lavori compiuti nella cavea verso gli anni cinquanta per rendere più sicuro ed agibile il teatro hanno rovinato irreparabilmente quell'acustica che permetteva di cogliere il respiro di un interprete anche dai punti più lontani. Smontata la grande struttura lignea, la gradinata fu ricostruita in cemento armato: sui gradini vennero poste con cura tutte le antiche assi diligentemente catalogate e restaurate. Così la cavea all'interno del teatro sembra ancora perfettamente integra ma l'anima sonora è andata perduta per sempre.

Loggia

È forse questo il punto più alto toccato da Palladio all'Olimpico, ricorda molto la soluzione trovata per la facciata di palazzo Chiericati, con l'alternanza di spazi vuoti e pieni. La loggia è coronata da balaustra e da altre statue di Accademici compiute dopo il 1750 e purtroppo molto modeste, non colgono il ritmo che sta intorno e sono avulse da tutto il gioco scenico di tutte le altre sculture. 

La città ideale nelle prospettive 

La fama dell'Olimpico è in gran pate dovuta alla mirabile piccola città perfetta che si vede oltre le quinte porte del proscenio (vedi foto). Non c'è visitatore che non si incanti per questa mirabolante invenzione che in pochi metri propone palazzi, templi, fughe di portici e arcate, convergenti verso un punto prospettico posto, sembra all'infinito. 
Eppure è proprio qui che nasce il tradimento all'opera di Palladio, attuata da Vincenzo Scamozzi chiamato all'Olimpico per curare la scenografia in vista dell'allestimento dell'Edipo tiranno. Il problema è che i disegni e il modello lasciatoci dal Palladio son andati perduti, ma possiamo credere che Palladio non avrebbe certo tollerato che la visione di questa illusoria città turbasse l'unitarietà delle varie parti del Teatro. 
Va ricordato che la scena scamozziana deve essere sempre usata come fondale e mai come spazio per l'azione, ed è inutile dire che essa non riproduce la città di Tebe, ma una città rinascimentale, la Vicenza sognata da un architetto del Cinquecento. Non c'è ombra di misera casa, tutto è nobile e solenne come si addice ad una città "sede d'imperio". 
Non è impensabile allora che gli Accademici abbiano voluto identificare Tebe con Vicenza, in un momento, la rappresentazione di Edipo, in cui anche gli spettatori seduti nelle gradinate venivano coinvolti nel dramma recitato dagli attori. Massimo coinvolgimento. 

Primo teatro chiuso? 

Solitamente in riferimento al Teatro Olimpico di Vicenza si è soliti leggere che du il primo teatro chiuso costruito in Italia, ma questo non è totalmente vero. Semmai l’importanza di questo edificio è quello di essere l’ultimo possibile dei teatri all’antica. Quando fu pensato nel 1580 fu creato così perché gli Accademici Olimpici si erano ostinati in questa idea di romanità, di grandiosità, ma negli ambienti più evoluti, quello romani, fiorentini e lombardi questo concetto era tramontato da almeno 30 anni. I teatri del Vasari e del Bontalenti erano praticamente delle grandi sale, c’era già un palcoscenico, un proscenio, un sipario e delle scene. Questo teatro invece nasce già con un’ideologia arretrata. Naturalmente però questa ideologia arretrata viene in mano ad un genio, il quale ha una genialità straordinaria nel risolvere un’architettura forzata dentro in uno spazio inadeguato. In questo bisogna dargli atto della sua genialità. È l’ultimo dei teatri possibili in questa incarnazione. Dal momento in cui l’han fatto al momento in cui lo inaugurano si accorgono di essere in ritardo, e allora ci cacciano dentro delle scene per diventare più moderni. Ma naturalmente le due cose urtano tra di loro e diventano nuovamente un ennesimo compromesso. Tanto è vero che l’attore fin che resta sul palcoscenico è nelle proporzioni giuste, ma se ne guarda bene di camminare lungo le scene perché altrimenti crollerebbe l’illusione in quanto i palazzi gli arrivano all'altezza delle spalle. Mentre nel teatro moderno la scena è fatta per stare a metro degli attori che devono dominare le scene. Quindi questo è l’ultimo dei teatri possibili in cui già si sente la crisi che ci porterà verso il teatro moderno. Finisce un’epoca e ne comincia un’altra. In ogni caso resta un teatro interessantissimo da questo punto di vista. Tanto è vero che dopo la prima rappresentazione dell'Edipo Re qui dentro non se ne fecero altre. Ci si accorse subito che come teatro non funzionava. Fu in seguito utilizzato per le adunate accademiche e il teatro diventò quello che è veramente: un magnifico spettacolo, una città ideale, che Vicenza non ha mai potuto essere e che avrebbe voluto essere.

CREDIT foto CONSORZIO VICENZA
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