Visita alla Basilica di San Zeno a Verona

Una meta che fonde storia, religione e segreti...

Basilica di San Zeno a Verona

La Basilica di San Zeno è inseribile in un percorso a giornata intera; la visita richiede oltre un'ora talmente essa è ricca di storia e tesori. Il protiro esterno, i bassorilievi in facciata, il chiostro adiacente, le formelle in bronzo sui battenti della porta, gli affreschi sulle pareti, la cripta col corpo del Santo e la Pala del Mantegna sono solo una sintesi di quanto c'è da scoprire. Sotto forniamo maggiori informazioni. L'ingresso alla Basilica è a pagamento.

Analisi della facciata

La chiesa attuale risale 1138, artefice fu lo scultore Nicolaus, che fu una delle personalità più rilevanti nel panorama italiano del XII secolo. La Basilica di San Zeno è una punta di diamante della scultura romanica e come tale va apprezzata e studiata nell’Italia e nel mondo.
In quel 1138 la facciata assunse la forma di oggi: fu dotata di un protiro arricchito di bassorilievi e retto da due leoni, furono apposte le lastre ai lati dell'ingresso, fu aggiunto un nuovo portale rivestito di formelle in bronzo. 
Nella lunetta del protiro si riconosce San Zeno che calpesta un drago. Questo motivo non è casuale, nell’immaginario medievale il drago è il simbolo del male, del peccato, dell’eresia. L’immagine di San Zeno che conculca deriva dalla Bibbia, pensiamo infatti alla profezia fatta ad Eva nel Capitolo 3 della Genesi:

Allora il Signore Dio disse al serpente:
Io porro inimicizia tra te e la donna,
tra la tua stirpe e la sua stirpe :
questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno.

La donna è una allusione a Maria. La protezione da parte del Santo nella lunetta viene accordata non a figure religiose, ma a quelli che sono tradizionalmente identificati come i Fanti e i Cavalieri. Fanti e i Cavalieri erano – in parole povere – le formazioni principali della città comunale. I Cavalieri erano i nobili, coloro che potevano permettersi il cavallo, o comunque personaggi di notevoli disponibilità economiche, i Fanti erano una fascia intermedia che comunque (seppur non con gli stessi mezzi) contribuiva alla difesa del Comune. E proprio in quegli anni Verona si stava dando una organizzazione comunale. Sotto compaiono i miracoli di San Zeno, gli stessi riprodotti sulle formelle bronzee del portale.
Ai lati del protiro ci sono delle architravi dove ci sono personaggi policromi illustrati. Di nuovo si riconoscono dei draghi soggiogati, ma soprattutto tutta una serie di immagini non religiose, ma “laiche”, che rappresentano i mesi. I 12 mesi erano considerati il modo per ripartire il tempo, quel tempo che in assoluto appartiene a Dio, ma che per essere proprio degli uomini deve essere suddiviso in azioni. E quali azioni migliori se non appunto le attività dell’uomo? Il lavoro come virtù torna ad avere un valore religioso nel Medioevo. Il lavoro sarebbe il mezzo di redenzione che Dio ha dato all’umanità dopo il peccato originale. Quando Adamo ed Eva vengono cacciati dal Paradiso per essersi macchiati del peccato originale, per espiare le loro colpe iniziano a lavorare.
E infatti, se guardiamo la lastra scultorea sulla destra dell'ingresso, in alto si riconoscono Eva che allatta i figli e Adamo che sta zappando la terra. Quindi questa concezione del lavoro del tempo è funzionale a dare un senso a tutte le vicende narrate: creazione degli animali, creazione dell’uomo, di Eva, il peccato originale, la cacciata dal Paradiso terrestre e infine la redenzione intesa come labor, il lavoro. Queste lastre portano la firma di Nicolaus. 
Sulla sinistra del portale appaiono le scene del Nuovo Testamento: questo autore mostra però uno stile diverso, le figure sono più piccole. Lo scultore qui si firma con Gulielmus, di cui non sappiamo molto, si pensa fosse un maestro facente parte del cantiere.
Le lastre nella parte inferiore son invece molto particolari. La prima fascia è poco visibile, molto corrosa, le corrosioni derivano da una abitudine in voga fino al Seicento di lanciare dei sassi per creare delle scintille. Si tratta di soggetti pagani raffiguranti dei guerrieri a cavallo e in guerra. La parte sulla sinistra è quella di più controversa identificazione. Secondo alcuni storici si tratta di un rimando alla lotta fra Lotario, Re d’Italia, e Berengario, che a sua volta viene ucciso da Ottone. Le scene rappresenterebbero quindi il duello fra Ottone e Berengario.
Anche sul lato destro ci sono immagini di carattere non religioso: qui ci sono delle iscrizioni che han permesso di ricondurre le immagini alla leggenda di Teodorico, il Sovrano goto morto nel 526 a Ravenna, ma legato strettamente a Verona, che in queste immagini viene raffigurato nel momento in cui, dopo aver visto un cervo bellissimo, lo insegue, ma incontra un eremita. 
Qui il re goto viene assimilato all'idea di Demonio poiché in vita Teodorico non era stato un grande esempio avendo scatenato discordie tra i cattolici ariani e mostrando quindi una indole dispotica. Il rimando a Teodorico ha un valore morale, fa parte del programma iconografico, Teodorico è un ammonimento per chi guarda questa facciata a non comportarsi nello stesso molo ed evitare il male. 
E un valore morale doveva avere anche il duello tra Berengario e Ottone sulla sinistra perché naturalmente concludendosi con la vittoria del buon Imperatore sanciva la distanza dalle persone immorali. Ricordiamoci che le immagini nelle chiese erano la Bibbia dei poveri, tantissima gente non sapeva leggere e quindi il programma iconografico era assolutamente importante.
La Ruota della Fortuna è un altro complemento di questa lettura (il Rosone nella parte alta). Viene realizzata più tardi da Brioloto, uno scultore che si firma nella ruota (è noto dal 1189 al 1226). La Ruota della Fortuna è posteriore al protiro e mette in evidenza come da uno stato di felicità iniziale sia facile passare alla infelicità e alla miseria. Anche qui si nasconde un ammonimento morale: meglio non insuperbirsi perché tutto è nelle mani di Dio e della Fortuna, sua ministra.
Infine, nel frontone in cima c’era un Giudizio Universale, quindi tutta la lettura della facciata doveva poi convergere nel momento finale, che era il Giudizio, al quale siamo tutti sottoposti. Un Giudizio che si trovava sulla facciata, sopra la porta di ingresso, da cui entrano i giusti e saranno cacciati gli ingiusti. E ancora una volta anche questo Giudizio aveva un valore programmatico e rendeva la facciata non semplicemente un bell’incunabolo decorato, ma qualcosa di molto più complesso e stimolante.

L'interno della Chiesa di San Zeno di Verona

L’aspetto odierno risale alla campagna del 1138, una campagna che nonostante la differenza di muratura è stata unitaria. La differenza di muratura non deve trarre in inganno e fare pensare a fasi diverse, ma in realtà è da imputare all’esistenza di due gruppi diversi di muratori. Anche perché poi l’interno doveva essere intonacato e affrescato, di conseguenza reso più uniforme senza disparità. Chiaramente non appartiene alla parte romanica la parte absidale che viene fatta negli anni ’80 del Trecento e finita nel 1396, ma i suoi archi a sesto acuto rivelano la differenza di impianto rispetto alla parte romanica della chiesa plebana. 
L'interno, tipicamente romanico è incentrato sul numero 3, che qui si ritrova in tutte le direzioni: nella parte del piano con la tripartizione navata centrale e le due navate laterali, ma lo si vede anche nella tripartizione dei piani. Il primo ambiente entrando in chiesa è chiamata la parte plebana (riservata ai fedeli), poi c’è la cripta, che è la parte più bassa, chiamata anche purgatorio, ed in genere era dove si conservavano le reliquie di un Santo e vi si andava per chiedere intercessioni o la redenzione, e la parte più alta che è la zona presbiterale riservata ai religiosi, in questo caso ai monaci benedettini. 
Completano questa parte il portale, con le famose formelle bronzee, che pongono alcuni problemi al di là della loro bellezza e della loro rarità come manufatto. In origine le porte bronzee erano molto diffuse, il problema spesso era che nel corso del tempo il bronzo veniva spesso rifuso per reimpieghi e quindi molte porte sono testimoniate, ma non ci sono pervenute. Questo di Verona invece è un caso unico.
Delle porte che però non sono state realizzate in un solo momento, si riconoscono infatti almeno tre scultori, che operano in momenti diversi: il primo opera alla fine dell’XI secolo (prima del 1138), poi ve ne fu un altro posteriore a Nicolaus e infine un terzo maestro. L’esistenza di porte antecedenti a Nicolaus ci fa capire che c’era una chiesa precedente. Il secondo problema è di ordine figurativo. Nelle porte compaiono spesso le stesse scene che troviamo sulla facciata, e ci si chiede perchè. Non abbiamo una risposta, ma oggi si ipotizza che esistesse una precedente porta più piccola con delle prime formelle, integrata successivamente. Le formelle precedenti furono mantenute perchè preziose.

Le Formelle Bronzee della Chiesa di San Zeno

Le formelle bronzee di San Zeno dei 3 maestri diversi son mescolate tra di loro. Il primo maestro è quello che fa le figure nel modo che vediamo per la Crocefissione. Laddove si vedono queste figure molto essenziali, con sfondi semplificati, con delle forme intense ma non specificate in maniera ornamentale e poco dettagliate siamo in presenza di questo primo maestro che opera a metà dell’XI secolo. Forme più semplificate. 
Le formelle che sono più accurate con una maggiore attenzione per le pieghe son del secondo maestro. Hanno le anatomie più corrette.
Il terzo maestro è quello che fa i miracoli di San Zeno. Qui c’è il miracolo che racconta di come San Zeno avesse salvato dall’annegamento un carrettiere che era stato trascinato in acqua dai buoi impazziti per colpa del Demonio. Poi troviamo il secondo miracolo racchiuso in tre formelle molto evidenti perché è il miracolo più importante. San Zeno si trova in riva al fiume  e mentre pesca viene accostato dagli ambasciatori dell’Imperatore Gallieno, che lo avvisano che la figlia dell’Imperatore è posseduta dal Demonio. 
San Zeno quindi si reca a corte, compie l’esorcismo e scaccia il Diavolo e infine Gallieno, riconoscente, offre la sua corona a San Zeno, il quale poi ne farà distribuire il controvalore monetario ai poveri, perché non terrà la corona. Occorre dire a onor del vero che San Zeno e Gallieno non possono essersi mai conosciuti perché tra loro corre un secolo e mezzo di differenza, ma qual è allora il senso di questo miracolo? 
La figlia di Gallieno è il simbolo di Verona, quella Verona che viene guarita dal Demonio e San Zeno diviene il patrono di Verona perché è quello che traghetta la città dal paganesimo al cristianesimo, e quindi questo miracolo non aveva un valore storico di documento, ma morale e simbolico, per far vedere ancora una volta il legame del Santo con la città.
Sul portale di destra abbiamo nella parte sopra sostanzialmente le formelle del secondo maestro, nella parte bassa quelle del primo maestro, è una sorta di potpouri, le formelle son state reintegrate, mutate aggiustate, forse anche con perdita di alcuni episodi, ma per stare dentro la nuova sistemazione.

Pala di San Zeno del Mantegna

Insieme alle formelle e all’opera di Nicolaus è un caposaldo della Chiesa di San Zeno, ma non solo in ambito veronese, ma quantomeno italiano se non europeo e mondiale. La pala di Mantegna ci porta però in un contesto cronologico completamente differente, dal momento che facciamo un salto dal 1310-20 degli affreschi al 1456, quando A. Mantegna viene chiamato dal'abate del Monastero Gregorio Correr per una pala d’altare da posizionare nella zona presbiteriale. Mantegna all’epoca è piuttosto giovane, ha 25 anni circa, però è un pittore già con un bel curriculum alle spalle. Ecco alcune sottolineature: 

  • Mantegna si era messo in luce clamorosamente con degli affreschi in cui recuperava due cose importanti: l’arte antica o classica e la prospettiva, che diventa diventa scientifica e calcolata geometricamente.
  • L'artista riprende il tema della Sacra Conversazione: Madonna con Bambino e Santi, ma la sua originalità sta nell’inserire questa Sacra Conversazione nel recupero dell’antico e nella prospettiva. Lo sfondo è prospettico, dietro la Vergine crea uno spazio, si capisce che la Vergine non è appoggiata a una parete indefinita, ma è in un padiglione e accomodata sul trono. 
  • Il trono è posizionato in maniera più arretrata per dare il senso di spazialità. La stessa spazialità la si ritrova anche coi Santi che stanno attorno. Dei Santi che non sono frontali ma in diagonale, digradano verso l’interno facendo capire che occupano tutto lo spazio. E i Santi son dei personaggi che vengono scelti con oculatezza: 
  • San Pietro e San Paolo perché sono gli apostoli principali della chiesa, San Giovanni Evangelista, poi naturalmente San Zeno, San Benedetto, San Lorenzo, San Giovanni Battista. I Santi son rappresentati mentre leggono la Bibbia visto la Regola dell'Ordine benedettino prevedeva la lettura: Ora, Lege et Labora.
  • Una delle suggestioni più forti della prospettiva è il coinvolgimento da parte dello spettatore: l'osservatore si sente dentro nel quadro, una sorta di prospettiva del coinvolgimento. Quella che sembra una corona sopra la testa della Vergine è in realtà la parte terminale del trono sopra al quale siede, e rimanda chiaramente al rosone sulla facciata. C’è questa corrispondenza viva e simbolica che è uno dei tanti espedienti raffinati introdotti dal Mantegna nel dipinto.
  • Poi c’è il recupero dell’antico, che si vede da tante parti, per esempio nel fregio coi puttini in monocromo, come se fosse una scultura. Li si ritrovano soprattutto sui sarcofagi romani, che erano i reperti più facili da trovare. Ciò mostra la potenzialità della pittura, una pedissequa imitazione del reale molto in voga nel Quattrocento. 
Il trittico nel 1797 viene requisito da Napoleone e spedito a Parigi, dove per altro rimarranno le predelle (quelle di adesso son di Paolino Caliari dell’Ottocento). Al Louvre c’è ancora la Crocifissione, le altre due son a Tours perché Napoleone voleva arricchire anche la periferia, e non solo Parigi.

San Zen che ride 

Si tratta di una statua in marmo dipinto della fine del Duecento e testimonia ancora una volta la devozione verso San Zeno. La caratteristica del sorriso è molto particolare: questa bonarietà fa riferimento all’amore che i veronesi avevano per San Zeno e il Santo per la propria città. Viene chiamato ancora oggi il Vescovo moro perché veniva dal nord Africa. Questa connotazione razziale non viene sempre mantenuta nell’iconografia:  nella pala del Mantegna ad esempio non ha la pelle nera. Tornando al sorriso, invece, questo ha una connotazione a Verona: anche Cangrande della Scala sorride. Il sorriso doveva esser sentito come qualcosa di veronese, che poteva collegare Cangrande a San Zeno. Ricordiamoci che Cangrande fu il primo vero Signore della città. Non cronologicamente, ma è quello che dà lustro e consolida definitivamente il potere degli Scaligeri. Quindi il sorriso può avere avuto un significato di propaganda.

La Cripta della Basilica di San Zeno di Verona

Quando rifecero la chiesa nel 1138, la cripta aveva già un suo ingombro, era una sorta di chiesa inferiore. Esisteva già tra il IX e il X secolo. Quando Gregorio Correr fece sistemare la parte superiore, fece anche rialzare la cripta. Gli affreschi risalgono al Duecento e  al Trecento, ma qui sotto ovviamente l'oggetto di devozione più importante è il corpo di San Zeno. Venne fatta una ricognizione del corpo alla fine dell’Ottocento e in quell’occasione si poté verificare che era un personaggio di altezza notevole. I capitelli son di vari periodi e tutti di riuso, ci sono anche alcuni afremmento di materiale romano, a ricordo che qui v’era una delle necropoli più importanti della città romana lungo il corso della Via Gallica. 
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