Monumento equestre di Cangrande a Castelvecchio

Capolavoro del Trecento

Statua di Cangrande I

Cangrande muore a Treviso nel 1329. 
Il monumento oggi esposto a Castelvecchio era originariamente collocato in cima all’arca di Cangrande sopra l’ingresso della chiesetta di S. Maria Antica alle Arche Scaligere. La statua risale ai primi anni degli anni ‘30. Gli storici lo considerano il monumento più bello del Trecento italiano. Il cavallo è sì saldamente piantato sulle quattro zampe, pur tuttavia, per il taglio della gualdrappa e per il movimento del tacco del cavallo e del capo di Cangrande e per il suo sorriso, tutto il complesso è dominato da una grande vitalità. Ed è questa vitalità - assieme al belle forme dell’insieme - che fa di questa statua equestre il monumento funebre più bello del Trecento italiano. 

Come si è detto, proviene dalle arche ed traduce quello stilema tipico della cultura gotica: l’esaltazione del cavaliere e del sovrano. Il sorriso è stato variamente interpretato; è certamente una citazione del mondo antico, egli si mostra con il sorriso del vincitore non solo sul nemico ma sulla morte, dimostrando proprio la sfida nel mondo ultraterreno che questi Signori ritenevano di poter compiere. La statua la vediamo priva di alcuni elementi, come la spada in mano e la policromia che sicuramente aveva, oltre al bronzo dorato che doveva essere nell’elmo, nel cimiero e nella decorazione del cavallo. 
La scultura era originariamente completamente dipinta, ma essendo rimasta all’aperto per molti secoli la parte dipinta si è persa. La gualdrappa del cavallo era decorata ad imitazione di un tessuto, l’armatura era colorata o forse aveva delle piastre di metallo applicate sopra per dare l’idea dell’armatura metallica, ma essendo rimasta all’aperto per molti secoli queste parti decorative sono andate perdute. Sappiamo che la statua è stata danneggiata da varie vicissitudini e anche da restauri maldestri fatti nel passato che hanno visto il rifacimento di alcune parti, come l’elmo che vediamo calato sulle spalle. Il cavaliere quindi non è più quello originale, ma una ricostruzione ottocentesca. 
Nonostante i danni è uno dei capolavori della scultura europea del Trecento ed è un’opera talmente famosa da essere diventata il simbolo di Verona, la si vede riprodotta un po’ dappertutto, forse questo è dovuto anche al fascino di questo sorriso enigmatico di Cangrande che è tanto diverso invece dalla statua di Mastino II che invece ha l’elmo calato sulla testa e quindi dà l’idea di un guerriero impenetrabile ove la comunicazione tra il personaggio e lo spettatore è impossibile. Qui invece c’è un tentativo di comunicare una certa affabilità e benevolenza, d’altra parte sappiamo che Cangrande era oltre a un grande soldato anche un personaggio di grande cultura con doti umane straordinarie, non per nulla Dante lo ricorda con tanto elogio nel Paradiso. Non dimentichiamo che a San Zeno anche il patrono era stato rappresentato sorridente. Perciò può darsi che il sorriso dovesse esser sentito come qualcosa di veronese, che poteva collegare Cangrande a San Zeno. E ricordiamoci che Cangrande è il primo vero signore della città. Non cronologicamente, ma è quello che dà lustro e consolida definitivamente il potere degli Scaligeri. Quindi il sorriso può avere avuto un significato di propaganda
La scultura è anonima, attribuita a un fantomatico Maestro del Cangrande, non sappiamo chi fosse. È stato identificato con un certo Giovanni di Rigino, uno scultore attivo a Verona in quegli anni. 
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