Facciata esterna
La facciata attuale fu realizzata nel Cinquecento, ancora oggi si intravedono lacerti di decorazioni. Sotto la gronda dovevano esservi decorati strumenti musicali poiché in quel secolo l’Accademia Filarmonica di Verona ebbe qui la sua sede per vent’anni. Il cortile d’onore ospitava magnifici spettacoli mettendo in scena le opere di Torquato Tasso. Il portale a bugnato in pietra veronese è sormontato dallo stemma della famiglia: un giovane ricciuto biondo che rimanda all’idea della bontà e della bellezza.
Atrio d'ingresso
Nell’atrio d’ingresso le pareti sono dipinte a finto loggiato, in continuazione con il loggiato vero che ne delimita lo spazio. I Giusti, originari di Prato, erano tintori e produttori di lana. Giunsero qui a Verona dalla Toscana assieme ad altre famiglie ghibelline come loro. A metà del Quattrocento abbandonano la tradizionale attività per dedicarsi all’agricoltura e acquistano dei terreni fuori città. All’inizio del Cinquecento ottennero dal Senato veneziano la possibilità di elevare i loro territori da vicariato a contea, vale a dire che acquisiscono il tiolo di Conti. Nel tempo si erano divisi in diversi rami, quello di Santa Maria in Stelle, di Santa Felicita, e quest’ultimo negli anni ottanta del Cinquecento si sposta qui. Agostino Giusti, grande intellettuale, Cavaliere della Repubblica di Venezia e del Granducato di Toscana, assieme alla moglie si trasferisce qui e realizza l’ampliamento della residenza. Il palazzo assume quindi un aspetto più di rappresentanza assumendo le forme di una villa con giardino e celebrando al contempo la ricchezza raggiunta dalla famiglia.
Da notare un affresco che reca la data 1709 e che riporta per la prima volta il motto della famiglia: in labore requies, nel lavoro trovi riposo. Motto nobiliare che mette in relazione il lavoro e la fatica fisica ed intellettuale con il lavoro. In campagna avviene la fatica fisica, in città si continua a lavorare con lo sforzo mentale.
Palazzo Giusti è una costruzione ibrida che mescola i principi della villa veneta con giardino e le strutture tipiche dei palazzi di impronta veneziana (i famosi fondaci col portego passante tra una parte e l’altra dell’edificio).
Le armi deposte dello stemma sottolineano il riposo, nessuna guerra o azione bellicosa.
L’ala ovest del palazzo è stata riallestita a partire dal 2018 per far vedere come poteva essere l’arredo della famiglia Giusti e lo stile di vita.
Oggi i Conti Giusti non vivono qui, l’ultimo discendete attualmente in vita si chiama Nicolò. Il busto che si trova salendo dalle scale rappresenta il bisnonno Giulio, che fu pittore e personaggio illustre.
Salone passante
Collega le stanze a est con quelle a ovest. La sua funzione è simbolica, rimanda alla ricchezza della famiglia che sa fare cose maestose e monumentali. Esso fu fatto per volontà di Agostino Giusti, morto nel 1615, e fu adibito a salone delle feste. Inoltre era anche quadreria, e lo si capisce dalle cornici tuttora posizionate sulle pareti che dovevano inquadrare dei quadri.
Notare anche le girali vegetali che decorano la parte alta del salone. Si vede anche il secondo stemma della famiglia, che riporta nuovamente il fanciullo ricciuto, ma con l’aggiunta dell’aquila del Granducato di Toscana. Si chiama stemma inquartato, diviso in quattro parti. Dall’altra parte il giovane fanciullo col motto in labore requies.
Un aspetto interessante è anche il pavimento alla veneziana: marmi e pietre mescolati tra di loro a formare una sorta di mosaico.
Se guardiamo fuori dalle finestre, lo sguardo si dirige verso il viale dei cipressi nel giardino. Questo fu concepito fin dall’inizio come un itinerario della mente verso dio, l’idea che doveva scaturire era quella del giardino come spazio dei sensi, ordinati, ma anche stimolati. La strada del giardino sale verso l’alto conducendo quindi verso una direzione più celeste.
Il mascherone orrorifico suscita contemporaneamente paura e meraviglia, fu ideato nel cinquecento da Bartolomeo Ridolfi, e nella sua concezione dalla bocca dovevano scaturire le fiamme del fuoco.
Appartamento del Novecento
Il Novecento fu un secolo molto importante per la famiglia. Nel 1942 il palazzo fu confiscato dalle autorità tedesche. Nel 1954 questa ala di palazzo fu data in affitto ai coniugi Farina, che vi restarono fino agli anni ottanta. Dagli anni duemila si è deciso di riaprirlo al pubblico inserendo una serie di oggetti dagli stili più compositi e recuperati da diverse abitazioni della famiglia.
Sala del camino
Il camino viene dall’ala cinquecentesca e fu ricollocato qui nel 1926. Qui sono esposti quattro busti, due in marmo (allegoria della virtù femminile e un senatore veneto) e due in gesso di significato allegorico (Diana e Apollo). il busto maschile rose è un membro della famiglia del Molin, che si era imparentata coi Giusti. Questa famiglia aveva collezionato molte antichità, conservate dai Giusti, alcune di queste opere antiche sono esposte nella sala delle pietre. Le travature della stanza sono cinquecentesche, ma la decorazione è stata rifatta nel Novecento. Sia in questa stanza che quella successiva le travature originarie son state rimaneggiate dal 1926 quando il proprietario che era sindaco di Padova lasciò il palazzo in mano a dei parenti Giusti, disinteressandosene.
Sala delle pietre o delle teste
Qui si vede un assaggio dell’allestimento verde fatto nel palazzo quando fu aperto nel 2018. Fu chiesto ad una designer floricoltrice di Bologna di organizzare un allestimento: ogni stanza doveva conservare delle piante che ricordassero gli usi, le funzioni, le abitudini della casa, ma doveva anche essere piante esotiche per ricordare l’abitudine e la passione dei Giusti di viaggiare in posti lontani e portare a casa piante esotiche, non autoctone. Le piante in questa stanza hanno la caratteristica di non avere le radici, sono solo posizionate nel terreno, e purificano l’aria.
Saletta
Non ha un nome, ma è stata decorata con disegni di gioielli in stile liberty: pietre preziose incastonate nell’oro.
Salotto dei cavalli
Tipologia di soffitto a capriate: l’incannucciato a rete veniva posizionato per creare la volta utile ad essere affrescata. La sala dedicata al tema dei cavalli e si riconoscono i ferri di cavallo. La sala mostra dei toni maschili e richiama la ittica equestre. I tondi rappresentano dei ritratti della famiglia Cittadella, imparentata coi Giusti e nel cui stemma avevano un cavallo.
Camera da letto
Probabilmente nel tempo questo spazio fu utilizzato come sala da musica per concerti di musica da camera. L’allestimento odierno risale al 1954, quando i coniugi Farina crearono qui una sorta di alcova. Era la stanza dei figli. Il letto a baldacchino è in stile imperiale (neoclassico). La stanza è di gusto femminile, al contrario di quella precedente, infatti qui le piante hanno un gusto più aggraziato. Sul soffitto vi è un pregevole affresco settecentesco di Francesco Lorenzi, che ha realizzato anche l’affresco nella sala dell’aurora. Il pittore veronese fu molto attivo in quel secolo essendo allievo di Tiepolo e fu chiamato qui a rappresentare l’allegoria del tempo e della verità. Il tempo è rappresentato con le ali in forma di signore barbuto, ce svela la verità, una giovane fanciulla. È un insegnamento morale che la famiglia voleva mostrare al visitatore.
Salotto rosso
Nicolò Giusti, l’attuale proprietario, ha voluto creare delle stanze con stili diversi, tra di loro anche poco attinenti, una accozzaglia che ricordasse lo stile di D’Annunzio, e questa sala ne è un esempio. Proprio qui sulla parete son state posizionate delle lettere di Gabriele d’Annunzio, che raccontano dell’amicizia tra il poeta e Lucia Cittadella, bisnonna dell’attuale Conte. Detto salotto rosso per le tappezzerie a motivi orientali e la cineseria rossa che domina anche la decorazione del divano d’angolo. È un salotto che veniva usato dalla nonna del Conte, Eleonora Albertini, di cui si vede un’immagine fotografica nel giorno delle nozze. Sotto una foto di famiglia con bisnonni, nonni e il bimbo in braccio è l’attuale Conte (nato nel 1977) che vive a Milano. Lucia Cittadella era nata a Padova e si racconta che avesse intrapreso un’amicizia con d’Annunzio, molto più giovane di lei, da quando iniziò ad ospitarlo in affitto in una stanza del palazzo. Qui si trova una pianta particolare, detta orecchie d’elefante, a sottolineare ancora l’amore per esotismo.
Sala dell’aurora
È la più ad effetto. È una stanza riccamente decorata ed affrescata, dominata dal colore oro, che viene usato per dipingere il fondo delle decorazioni alle pareti. Dominano anche gli specchi, oggetti preziosi e rari per i palazzi. Specchi e oro danno un senso di luminosità. La stanza viene chiamata così per l’affresco sul soffitto del 1766 di Francesco Lorenzi. Lavorò a fianco del Tiepolo tra il 1745-50 e fu il grande maestro a suggerire il nome del talentuoso talento alla famiglia. L’aurora dipinta allegoricamente nello spazio è stata rappresentata con un abito aranciato, molto chiaro, per ricordare i colori dell’alba mattutina. L’aurora è contornata da una serie di altre figure allegoriche: a sinistra Apollo col suo carro, sopra si intravede il cerchio dell’oroscopo con i segni zodiacali. Sul lato opposto l’immagine della notte diafana che esce di scena, dominata dai pipistrelli. La notte porta via con sé il buio per dare spazio alla luce dell’aurora. Flora, con le ali di farfalla, porta dei fiori, e la Rugiada tiene un vaso mentre lo rovescia sopra l’osservatore.
L’aurora rappresenta il trionfo della luce sulle tenebre, trionfo dell’armonia, della potenza dei Giusti sulla città, in particolare sul quartiere di Veronetta.
La stanza è decorata da una serie di piante di palma, che vive grazie alla luce e che rimanda al simbolo della fecondità.
Sala da pranzo
Tavolo imbandito. Da notare le vedute di città alle pareti. Fiume Adige, mulini, monumenti cittadini … con queste vedute i Gisti rendono omaggio al fiume Adige, che a loro ha concesso ricchezza e fortuna. I Giusti, che erano tintori e produttori di lana e successivamente proprietari agricoli, al loro ritorno di dedicano all’attività di radaroli, non tanto perché trasportavano merci sulle barche, masi trasformano in mercanti navali. La loro potenza di lega alla forza del fiume. Piazza isolo era un importante snodo mercantile.
I piatti richiamano il convivio: particolarmente preziosi sono i vassoi di specchio, detti deseri, che erano usati nella repubblica veneta come dono per le personalità più importanti in visita alle famiglie nobiliari. È possibile che i Giusti li abbiano ricevuti in dono.
Gli archi del loggiato sono sormontati da teste di divinità olimpiche. Poi si riconoscono triglifi e metope.
Fontane: Minerva con copricapo guerriero e Apollo. I pipistrelli sotto anticipano l’orrorifico suscitato nei giardini all’italiana e che raggiungerà il suo apice col mascherone che sputa fiamme di fuoco.
Giardino Giusti
Il giardino fu concepito da Vollkammer, appassionato di giardini ed agrumi. Aveva pensato alla divisione geometrica formale nella parte bassa. Oggi il giardino è tripartito, con tre sezioni. Il Viale di cipressi taglia il giardino in due parti. Sotto si trovano bossi, vasi di agrumi che puntellano il giardino e le serre.
Il labirinto era già presente nel Cinquecento, e rifatto nel settecento. Quello odierno ricopia la versione settecentesca di Vollkammer.
La parte alta mostra invece un giardino sublime all’inglese, dove le piante sono lasciate allo stato naturale.
La parte più a ovest al confine con le proprietà adiacenti è stata adibita a serre, vi sono cedri, limoni, aranci. Gli agrumi erano diventati di moda fin dal Cinquecento e si pensavano curativi per certe malattie. La zona è puntellata da una serie di sculture: Bacco, Cerere (scomparsa) e Venere. Il giardino cinquecentesco era pieno di elementi tesi a suscitare stupore (grotte, labirinti, tunnel, siepi di forma geometrica). Le grotte avevano il compito di tenere il terreno umido, l’acqua percolava dall’alto. Qui si trova la grotta di Eco, dal mito di Eco che si era innamorata di Narciso, ma il so grido d’amore era solo un eco perché lui non sentiva, esseno innamorato solo di sé stesso. Nella grotta vi erano canaline che creavano effetti sonori, un eco che rimbombava.
Salendo verso l’alto il guardino cambia di concezione e diventa più selvaggio. Nella parte in basso il giardino era suddiviso geometricamente in riquadri, con cipressi e siepi che danno ordine alla zona. La parte sul pendio è più spontanea, selvaggia, presenta una serie di Celtis Australis, che servono a trattenere il terreno. Le piante di questa zona vengono dalla Lessinia, a parte cipressi e allori provenienti dal sud.
La grotta degli specchi era decorata con madreperle, pietre preziose che luccicavano, e mostrava giochi d’acqua. Quindi i sensi venivano solleticati, vista, udito, tatto.
Il mascherone di Bartolomeo Ridolfi è cinquecentesco, uno stuccatore veronese che forse si ispirò a quanto già fatto in Villa della Torre a Fumane. Da qui si vede l’infilata del viale dei cipressi, che sembra più lungo di quello che effettivamente è.