Viridarium a Santa Giulia
All’interno del complesso di Santa Giulia è stato riprodotto un viridarium, vale a dire un tipico giardino romano. È sempre accessibile al pubblico gratuitamente e lo si intravede dall’enorme finestra che si trova nella Domus delle Fontane. Era il giardino privato dell’antico proprietario di questa casa. La riproduzione che ne è stata riproposta è molto affascinante.
Ora, come era fatto un giardino romano e quali piante vi erano collocate? Ovviamente il giardino romano di oggi non è una ricostruzione basata su notizie certe, e nemmeno si conoscono le piante che vi fossero conservate. Ma possiamo supporre che questo fosse un viridarium grazie al ritrovamento di una struttura muraria, simile ad un muro di cinta, e da ciò si presume che qui vi fosse un giardino.
Il viridarium è stato ricostruito grazie a delle fonti, infatti analizzando i giardini Pompei è stato possibile scoprire anche le radici delle piante che erano inserite nel giardino. E poi anche Plinio ha scritto e descritto i giardini romani.
L’architettura dei giardini non è sempre stata la stessa: i giardini romani si sono sviluppati dal III secolo a.C. al III d.C.. I Romani era gente dal forte senso pratico e quindi inizialmente i loro giardini erano degli orti produttivi con piante da frutto e piante aromatiche che servivano per l’uso quotidiano. Solo in età cesariana si comincia a capire che il giardino poteva anche essere un ambiente gradevole, nasce quindi la differenza tra hortus e gli horti.
I giardini romani non avevano fiori, ma quasi esclusivamente piante, ecco perché si chiamano viridaria, legati alla loro etimologia al verde, erano tutte piante verdi, ciò che contava era la forma e la simbologia della pianta. Ogni tanto qua e là i Romani collocavano un vaso con fiori per ingentilire il giardino.
Il grande exploit dei giardini avviene durante l’età di Augusto tra il I sec. a.C. e il I d.C. In quel frangente i giardini diventano immensi e si inizia a concepire l’idea delle piante ben potate per assumere forme ben precise (ars topiaria). Le forme decorative potevano essere semplici forme geometriche o figure di divinità, animali e scene epiche. Per far ciò servivano piante sempre verdi, ecco perché era molto amato il bosso o il lauro e anche il cipresso. I Romani non amavano il giardino spontaneo, tutto doveva essere controllato dalla mano dell’uomo (una concezione ripresa nei giardini all’italiana del Rinascimento).
Il Viridarium di Santa Giulia è diviso in sezioni, vi si trova ad esempio un hortus con piante produttive (fico, vite, pero, il cotogno, il rosmarino e diverse essenze):
• Il rosmarino; serviva per profumare la casa e sostituiva l’incenso.
• La lavanda; serviva per fare il bagno ed era considerata un forte amuleto e porta fortuna.
• Il fico; serviva come cibo, ma le foglie erano utilizzate per intrecciare corone. Curioso il suo legame con la nascita di Roma, perché Romolo e Remo si dice fossero stati allattati da una lupa all’ombra di un grande fico.
• La vite; di cui se ne mangiano i frutti e si ricava il vino. La vite è una pianta sacra a Dioniso (Bacco). Questa pianta la vedremo spesso rappresentata nelle ville ed è simbolo di Dioniso.
• La salvia; considerata una pianta sacra.
• Il cotogno; è un tipo di mela, amato nel mondo romano a livello estetico e per il suo gusto. Lo si trova spesso rappresentato nei mosaici (Domus delle Fontane). Il frutto veniva fatto macerare e il ricavato era mescolato col vino.
• L’origano; i Romani pensavano che potesse guarire dalla depressione e dalle delusioni d’amore.
• La menta aveva un valore rinfrescante.
• Il timo serviva per dare coraggio ed era un potente amuleto per i soldati.
• Nel viridarium è presente una qualità di pesco non comune, il frutto è piccolo e schiacciato rispetto a quello che conosciamo. Anche il gusto è aspro e non profumato. Esso aveva un valore simbolico legato alla vita serena e alla tranquillità. Le pesche vengono spesso rappresentate ad affresco all’interno di cesti.
• Il melograno era una pianta di buon auspicio, simbolo di fecondità e lunga vita.
• L’oleandro era una pianta amata per l’aspetto decorativo, ma se ne conosceva l’attività venefica e si credeva che il suo veleno curasse i morsi dei serpenti. Per la sua capacità di avvelenare l’oleandro è legato al culto dei morti, veniva offerto sugli altari o sulle tombe nei riti funebri.
• L’alloro era una pianta comunissima sacra al dio Apollo e in seguito alla storia tra Apollo e Dafne. Era anche una pianta legata ai giochi olimpici.
• L’acanto è quella foglia che decora il capitello corinzio. Era una pianta amata e veniva collocata intorno alle fontane perché legata all’acqua.
Insomma le piante erano legate all’inizio della vita o legate alla morte. E il viridarium era un luogo di raccoglimento da cui poter uscire dal negotium (la vita pubblica) e ritirarsi nell’otium. Il verde e le fronde aiutavano a rilassarsi e a prendere le decisioni con più calma e chiarezza. Solitamente c’era un prato.
In un’altra zona del viridarium è stata ricostruita la crociera di bosso che serviva per dividere i percorsi. Solitamente all’interno delle siepi di bosso c’erano dei vialetti di pietra. Spesso nei giardini romani c’erano delle fontane, l’acqua aveva un valore lenitivo. Qui invece sono stati posti degli altari alle estremità dei bracci della crociera, e intorno agli altari vi sono delle rose di qualità gallica. La rosa era il fiore per eccellenza, sacro a Venere. Da essa si ricavavano unguenti e profumi. Ha un valore importante legato alla bellezza e inoltre le rose sono legate al mito di Venere, innamorata di Adone. Marte, invidioso, chiede aiuto a Eros che scaglia una freccia su un cinghiale, che si innamora di Adone, e nell’inseguimento lo incorna uccidendolo. Dalla ferita esce del sangue che si posa su una rosa ed ecco come sono nate le rose rosse (che prima sarebbero state solo bianche).
Se ora dal viridarium passiamo agli interni del Museo di Santa Giulia e ci dirigiamo verso le Domus dell’Ortaglia, noteremo che questi stessi elementi vegetali sono entrati dentro nelle case, poiché nelle domus la decorazione vegetale esterna è entrata a far parte della decorazione parietale o pavimentale interna.
Domus di Dioniso
La domus di Dioniso prende il nome dall’immagine raffigurata nell’èmblema (il riquadro centrale) del triclinio. I Romani avevano un criterio preciso nella decorazione degli interni, essa doveva amplificare il significato dell’uso della stanza. Questa era la sala da pranzo e la divinità che presiedeva i banchetti non poteva che essere Dioniso, a lui sono legati tutti gli elementi decorativi che ci sono attorno. Nei quattro ottagoni attorno ci sono i kantharoi, cioè i vasi con cui si beveva il vino nelle festività. E da questi esce proprio una pianta di vite, si vedono le foglie sulla sinistra e i grappoli sulla destra (unico altro elemento a colori assieme all’èmblema centrale). Anche però l’edera che corre intorno al mosaico è legata a Dioniso in quanto è una pianta selvatica così come legati a Dioniso sono anche gli elementi vegetali che si trovano affrescati nella parte inferiore.
Domus delle fontane: sala delle Colonne
Si tratta anche in questo caso di un triclinio, ma molto più bello e affascinante di quello nella Domus di Dioniso. Tutto il pavimento è a colori e l’impostazione iconografica è complessa. Al centro della stanza vi sono due riquadri con foglie di acanto ben distribuite, utilizzate qui per la bellezza e l’eleganza ad esso attribuito. Tra i due riquadri c’è una piccola maschera, un attributo di Dioniso che presedeva anche al teatro. Nella parte di fondo vi sono piccoli riquadri che incorniciano dei frutti: un rametto di pianta di cotogno, due melograni, e due rametti con foglie di vite, elementi legati alla buona sorte nel caso del melograno, al piacere per il cotogno, e la vite infine era un omaggio a Dioniso.
Sala delle 4 stagioni:
stanza piccola ma raffinata, era un piccolo studiolo. Qui c’erano 4 ottagoni con all’interno il viso delle stagioni. Oggi resta solo un frammento dell’estate, riconoscibile perché ha le spighe tra i capelli, e nella cornice a L si vede la rappresentazione di elementi estivi: rose, pere e fichi che si abbinano alla stagione, a questo momento ben preciso dell’anno. Questo pavimento Doveva essere molto raffinato e lo si capisce da quello che ci resta, di alto livello stilistico.
Sala della fontana:
Era la stanza in cui si accoglievano gli ospiti. I Romani avevano nella case delle stanze per gli ospiti e delle stanze per la vita quotidiana. Era una sala grande dalle pareti gialle e rosse con al centro una fontana. Il buco visibile oggi accoglieva una vasca al cui centro c’era un pilastro sopra al quale poggiava un’altra vasca e così si creava un gioco d’acqua. Erano stanze assolutamente inutili per la vita quotidiana e mancavano le comodità, servivano a esibire la ricchezza del padrone di casa (piena di cassepanche, con sopra candelabri d’oro e d’argento, lucerne, scatole ecc.) e qui l’elemento vegetale è affidato alle foglie di agave, una pianta mediterranea legata all’acqua. Si è voluto creare illusionisticamente l’effetto di un giardino interno sorto spontaneamente dove si poteva avere l’illusione della freschezza (che invece si trovava nel viridarium esterno raggiungibile attraverso il corridoio che portava nel giardino, dove gli ospiti venivano condotti dopo cena per fare due chiacchiere o per assistere a uno spettacolo di giocolieri o a un concerto).