Polittico Averoldi del Tiziano
Il Polittico Averoldi del Tiziano nella chiesa di San Nazaro e Celso a Brescia è sicuramente una gemma che splende solitaria in un angolo sperduto della città. Per chi si volesse avventurare in quest’angolo cittadino e avesse la fortuna di trovare la chiesa aperta, non ne verrà certamente deluso. Qui di seguito forniamo una descrizione molto dettagliata del polittico per poterne godere al massimo il suo valore artistico.
Il Polittico Averoldi del Tiziano è il punto di svolta della pittura bresciana che viene sconvolta da questa pala d’altare. Fu voluta da Altobello Averoldi rappresentato a sinistra in basso in ginocchio accanto ai santi Nazaro e Celso. A destra un San Sebastiano che mostra gli influssi michelangioleschi del Laocoonte, con una muscolatura molto evidenziata e anche una posa così articolata che sembra quasi studiata in funzione di mostrare i muscoli. In alto l’angelo e la Vergine. Ma la nostra attenzione è catturata dal Cristo perfetto nella sua resa anatomica che sembra quasi un atleta, un vincitore perché è il Cristo risorto.
Quando nel 1519 il Vescovo Averoldi commissiona la pala all’artista, in quell’anno risiedeva a Venezia in qualità di ambasciatore della Sede apostolica presso la Repubblica. Quando Tiziano realizza quest’opera, tra la fine dl 1520 e il 1522, aveva poco più di trent’anni; era finita la giovinezza. Una giovinezza fatta di capolavori di luce, tonalità, di calma suprema, di cuore vivo. Che con gli anni si trasformerà in capolavori di ombre, di sangue, di offuscamento, di cuore doloroso. Ed è proprio negli anni di realizzazione del polittico che lo stile di Tiziano si trasforma diventando altro. Quando egli si accinge a dipingere il San Sebastiano gli spiriti non sono più quelli di prima. Sulla soglia del nuovo decennio Tiziano mostra una nuova modernità. Da una parte porta avanti le memorie della giovinezza, quegli elementi che salivano dalla cultura romana e toscana diffusa ormai per il nord, ma accoglie già quei preludi di tristezza che raggiungeranno il suo culmine nel quinto decennio, quindi più di vent’anni dopo. Alcuni critici fanno entrare il polittico in un periodo di nuova drammaticità espressiva. Insomma siamo in un momento di svolta del Tiziano, quello della giovinezza finita e di ciò che ne consegue.
Tiziano è costretto a realizzare un’opera entro lo spazio angusto di un polittico per via del committente. È ovvio che la partitura spaziale di un polittico era inadeguata alla sua genialità, ma subisce la richiesta del gusto antiquato, e lombardo, di un committente illustre. Tiziano vi si adattò, ma per superare subito ogni incapsulamento spaziale, ogni distacco di scomparti, con una concezione che unisce spazi, forme, corpi e sguardi. Gli fu d’aiuto in ciò quella nuovissima sottigliezza proveniente dall’Italia centrale: l’arte manierista. Così dentro la vecchia intelaiatura polittica rifluiva la cultura più nuova che si potesse.
Scoccano gli sguardi, dal Cristo al San Sebastiano, dal soldato al Cristo, dall’angelo all’Annunciata; si contrappongono i gesti; le braccia aperte dell’angelo collimano con quelle opposte di Cristo, come se fosse imminente tra i due, un abbraccio, e rispondono anche, a distanza, a quelle di San Sebastiano, cosicché avviene fra le due figure una figura circolare di spazio, quasi una incantata e amorosa danza; guizzano ovunque le luci, scivolano sulle rive nevose delle pieghe nella tunica dell’angelo, specchiandosi sulla corazza di San Nazaro e del soldato seduto, intenerendosi intorno all’angiolino che lenisce le ferite di san Rocco, sfolgorando incendiate nel cielo, seguendo lo schioccar dello stendardo nell’aria, patinando di tiepida forza i corpi nudi di Cristo e di San Sebastiano; si rispondono le zone d’ombra, dall’oscurità che circonda la Madonna, al velo sceso sul paesaggio, al controluce dell’albero cui San Sebastiano è legato. Sembra un perfetto equilibrio musicale di luci ed ombra, davanti alla quale si sta silenziosamente ad ascoltare.
Ma proprio in questa unificazione che, per vincere i confini degli scomparti, deve spingersi un tocco oltre la naturalezza, si avverte il primo sentore del manierismo. E forse non era solo per sforzare gli spazi chiusi, forse una vaga inquietudine scendeva nell’animo del pittore, il giovane Tiziano sta diventando più pensoso e meno tranquillo. Se l’angelo annunciante ricorda lo stile giovanile del Tiziano, la Madonna appare più triste e pensosa; e il San Sebastiano è miracoloso perché par nato dalla saldatura tra l’una e l’altra cosa.
In quest’opera appare affacciarsi discretamente il primo manierismo di Tiziano, che però non è appariscente, non è fatto di anticlassicismo, di fantasia sfrenata, di angoscia o invenzioni artistiche, si tratta di una sottile inquietudine di un animo diverso all’interno di un uomo che sta maturando. Queste novità del suo animo vengono assimilate e stemperate entro un amalgama fiorito di colori.
C’è in Tiziano un senso potente della fisicità delle cose e dei corpi, che non si può dire di vero classicismo, tanto meno di vero manierismo: il San Sebastiano, nella torsione di tutto il corpo, nella potenza della spalla e del torso, porta il pensiero a Michelangelo; ma quel braccio alzato, dorato, contro il raso azzurro del cielo, e, nel braccio, il piegarsi e gonfiarsi della carne e della pelle per la strettura della corda, e quel volto malinconico, il naso affinato per il dolore, gli occhi abbassati, su cui si adagia il riflesso rossastro dei capelli, e il corpo di giovane atleta in abbandono, a fatica sostenuto dallo sforzo delle gambe, son tutti tratti geniali della poesia di Tiziano, che mescola in questa opera straordinaria quella sua fisicità e amore e miracolo cromatico coi sensi nuovi e turbati. Il paesaggio è fatto di luci celesti e gialle, di alberi appena intravisti, di montagne vane che sembrano un ricordo.
Non sfuggano i seguenti elementi:
- la torsione del San Sebastiano.
- la luce azzurra delle montagne.
- la data che spicca sullo spaccato della colonna è la data in cui l’intero polittico fu terminato.
- Il Santo posa il piede sulla colonna spezzata.
- l'Angelo annunciante brilla di bellezza propria, lume interno all’incarnato del volto, luce nitida nelle pieghe della tunica, ondulato dei capelli, con poche tonalità di colore Tiziano crea una forma, che è il miracolo pittorico di Tiziano. Il colore in lui è un mistero, è un’entità che splende in sé.
- L’Annunciata: pur fissa nella luce che la illumina tutta, è di tono più basso, sembra partecipe di una vitalità ridotta.
- Lo scomparto centrale è la somma di ogni elemento di stile del polittico: l’alto orizzonte respinge e oscura, dentro le ombre serali già calate sul paese, i due soldati, solo impauriti spettatori dell’apparizione di Cristo che, così illuminato da una luce che non è quella del tramonto, appare, contro le nuvole livide, unico protagonista.
- Il cielo variabile, cupo e drammatico è proprio il segnale di un passaggio di stile di Tiziano, da una fase giovanile a un’esistenza che si fa ora più malinconica, ora triste, ora dolente, e quando anche felice gravata di profondi pensieri.
- Il pannello che comprende, costretti entro uno spazio che non riesce a contenerli completamente, i due santi patroni della chiesa e il vescovo committente del polittico, è solo in apparenza separato dal resto dell’opera; in realtà è subito palese, a guardar la costruzione generale, che i tre in esso raffigurati fanno gruppo con le guardie del sepolcro, lì vicine, non solo per il richiamo quasi ritmico della testa di san Celso con quella del soldato in piedi, non solo per il velo di oscurità che tutti li avvolge, per il cielo che è altrettanto livido e le luci che brillano su questa e quella corazza, ma anche perché formano, i cinque tutti insieme, come un grande triangolo fitto di corpi e di tonalità oscure che si oppone e fa da contrappeso terrestre alla folgorante diagonale luminosa e aerea del san Sebastiano, del Cristo e dell’angelo.
- Una luce densa, serale, silente, depositata con lentezza, rileva e oscura i metalli, le stoffe e le carni, esalta le piastre e i chiodi, più opaca sul manto rosso, sottile come una ragnatela sul broccato
La calibrata sintesi tra colorismo e plasticismo rivoluzionò la pittura bresciana a partire da quel magico 1522. Il Moretto e il Romanino sono impegnati nella decorazione della cappella del Santissimo Sacramento nella chiesa di san Giovanni. Moretto, apparentemente più controllato, matura una concezione plastica molto ardita che subito si esprime nella torsione che anima le figure dei profeti; Romanino accende la sua tavolozza delle luci stregate e dei colori inquieti nei due teleri che rappresentano la Resurrezione di Lazzaro e la Cena in casa di Simone fariseo. Il modellato del volto della Vergine diventa nel Moretto un riferimento fisso, e non soltanto nel tondo dell’Annunciata realizzato per questa chiesa nel 1534 (ndr. in S. Nazaro).