Domus dell'Ortaglia
Col nome di Domus dell’Ortaglia si indicano i resti di due stupefacenti case romane un tempo sepolte sotto l’orto delle Monache e denominate oggi convenzionalmente Domus di Dioniso e Domus delle Fontane. Esse sono il perno della visita alla sezione romana del Museo di Santa Giulia, una tappa fondamentale per comprendere il passato di Brixia.
Le Domus dell’Ortaglia (Domus di Dioniso e Domus delle Fontane) erano parte del quartiere romano residenziale nord-orientale, situato alle pendici del Colle Cidneo, tra l’area pubblica monumentale (la piazza del Foro) e le mura orientali, costruite in età augustea, e furono abitate tra il I e il IV secolo d. C.. Dopo l’abbandono, si trasformarono, in età longobarda, nell’”ortaglia” (l’orto) del monastero femminile di S. Giulia, da cui prendono il nome.
Scoperte casualmente nel 1967, le antiche dimore son state studiate e restaurate per la prima volta tra il 1967 e il 1971. Gli studi son poi stati ripresi tra il 1980 e il 1992, portando alla luce tutti gli ambienti della Domus di Dioniso e quelli settentrionali della Domus delle Fontane. Ulteriori indagini svolte tra il 2001 e il 2002 hanno permesso di ritrovare tutti i restanti ambienti.
Nel 2003 l’area archeologica è stata annessa al Museo di Santa Giulia, con una sala dedicata: le strutture son visibili da una passerella sospesa sopra la pavimentazione delle domus e del fondo stradale, che permette di “entrare” in tutte le stanze e di raggiungere un’area distaccata, in cui vengono presentati alcuni dei reperti più significativi ritrovati nelle abitazioni e viene trasmesso un filmato con la ricostruzione virtuale dell’area stessa. Una grande finestra offre infine una visione del Viridarium, il “giardino” ricostruito come doveva apparire in epoca romana, con strutture architettoniche, alberi, fiori ed erbe utilizzati per scopi decorativi, culinari e terapeutici.
Domus di Dioniso e delle Fontane sono ovviamente dei nomi moderni attribuiti di recente convenzionalmente. I pannelli blu segnano grosso modo il cardo che passava da qui e sul quale si affacciavano le due abitazioni adiacenti. L’involucro costruito sopra serve a mantenere costanti l’umidità, la temperatura e la luminosità, per ragioni di conservazione. Non si tratta delle tipiche domus ad atrio costruite dai Romani nel sud Italia, una struttura privilegiata laddove le temperature erano più miti. Nell’Italia del nord, e quindi a Brescia, i Romani costruiscono domus a corte, distribuite attorno a un cortile rettangolare chiuso e protetto. Una casa romana non ha porte o finestre affacciate verso l’esterno, ma gravita verso l’interno, ed è accessibile tramite uno o massimo due percorsi. Nel caso della Casa di Dioniso il corridoio di accesso dalla strada conduce direttamente al cuore dell’abitazione, cioè al cortile, che era scoperto.
L’ambiente più importante è cortile, senza di esso la casa non ha luce e aria. Il muro di contenimento sul lato nord verso le pendici del Colle Cidneo mostra una sorta di nicchia. Non era una nicchia riservata al larario, come si pensa solitamente, poiché questo si trovava in cucina. Il larario era quel tempietto dove si praticava il culto dei lari, le divinità della famiglia e della casa, collocate appunto vicino al focolare, e non nel cortile. Forse era nicchia con statua di valore decorativo.
Sotto alla nicchia c’è una decorazione a fondo azzurro con delle chiazze marroni che rappresentano dei pigmei, si riconosce un ippopotamo che ha mangiato per metà un pigmeo, sopra e sotto le due figure corrono in aiuto o scappano spaventate. È una scena nilotica, che concettualmente si vuole ambientata sulle rive del Nilo. È un tipo di decorazione che diventa di moda in età adrianea, cioè negli anni venti del II secolo d. C. Scoppia in quel secolo la moda di fare le parodie delle grandi imprese della mitologia e qui abbiamo la natura che schiaccia l’uomo. L’ippopotamo può essere una minaccia per l’uomo, ma altrove son state trovate anche scene in cui l’uomo combatte con le anatre o le gru e ha la peggio, sulla scia di questa volontà di rovesciare i grandi miti della mitologia. I Romani non conoscevano i pigmei da quel che sappiamo. Il nome è convenzionale. L’acqua evocata dall’azzurro del Nilo richiama un elemento che era concretamente presente nel cortile, infatti sotto si vede una vasca in marmo. Si vede anche l’attacco del tubo che serviva per l’adduzione idrica. Le fontane spesso non si ritrovano più quando si scava perché erano tra i primi elementi asportati per esser riciclati altrove, assieme ai metalli. Nella Domus di Dioniso si è avuta la fortuna di averla ritrovata in loco.