Il tempio si chiama capitolino perché è dedicato alla Triade Capitolina (Giove, Giunone, Minerva). Precedentemente qui c’era un Tempio Repubblicano del I secolo a. C. a 4 celle. La quarta divinità era probabilmente una divinità locale di derivazione gallica a cui era dedicata la quarta cella. Il Capitolium era un imponente edificio costruito in marmo di Botticino nel 73 d.C. per volontà dell’Imperatore Vespasiano a ringraziamento dell’aiuto ricevuto da Brescia nella battaglia di Bedriacum contro Vitellio di Bedriacum (attuale Calvatone). La Vittoria Alata si trovava all’interno del Capitolium, non è dato sapere dove fosse e tanto meno come sia giunta a Brescia. Sappiamo solo che ad un certo punto fu nascosta (presubibilmente nel III secolo d.C. all’epoca delle invasioni barbariche) in una intercapedine tra il Tempio e il Colle Cidneo insieme ad altri ritratti in bronzo. Alcuni ritengono che la statua sia stata nascosta quando l’Imperatore Teodosio nel 390 d.C. proibì il culto delle divinità pagane.
Fatto sta che fu ritrovata nel 1826 a seguito degli scavi iniziati nel 1823 in quest’area archeologica. Il suo ritrovamento fece talmente scalpore e provocò un tale giubilo nella popolazione bresciana che essa fu portata in processione per la città. Ai quei tempi Piazza del Foro si presentava in modo diverso in quanto tutta la zona nel corso dei secoli era stata coperta da una frana. L’unica memoria del Tempio sopravvissuta era un capitello corinzio che spuntava in un giardino di un’osteria.
Fu poi negli anni ‘30 del Novecento che si pensò di restaurare il Tempio con una ricostruzione fittizia in cui i pezzi originali in marmo bianco furono inseriti in una struttura in cemento dipinto a finto laterizio (il mattone sarebbe troppo fragile per sostenere tutto). In questo modo ancora oggi si può distinguere facilmente la parte originale bianca e la parte aggiunta che è quella dipinta.
Alla statua oggi mancano alcuni suoi attributi: lo scudo su cui scriveva il nome del vincitore e l’elmo sul quale poggiava il piede. Poiché questi elementi furono applicati e non fusi alla statua, son andati dispersi
Tecnica a cera persa
La statua fu realizzata non a fusione semplice ma a cera persa, che prevedeva in pratica la realizzazione di un modello in terracotta simile in altezza, postura e dimensioni a come sarebbe poi dovuta apparire la statua a lavoro finito. Il tutto veniva solo abbozzato e i lineamenti restavano indefiniti. Sulla struttura in terracotta si applicava uno strato di cera che veniva sagomato nei minimi dettagli. La forma conferita con la cera sarebbe poi stato il risultato finale. Nella cera si inseriscono delle cannule di metallo e si ricopre il tutto con altra creta facendo una specie di campana. Veniva lasciato un buchino all’estremità in alto da cui si colava il bronzo caldo che avrebbe sciolto la cera occupandone l’intercapedine e assumendone la sagoma in quanto nel frattempo la creta applicata sopra aveva preso la forma della sagoma in cera sottostante. La cera usciva quindi dalle cannule e una volta che il tutto si è raffreddato, veniva rotta la campana di terracotta e come per magia appariva la statua di bronzo.
La fascetta sul capo (che è la fascia del vincitore) è stata applicata con la tecnica ad agiminatura che comporta la realizzazione di un’incisione sottile sul bronzo dentro la quale si battono a freddo delle piccole stecchettine d’argento che allargandosi vanno a riempire lo spazio dell’incisore.
La statua è costituita da 12, 15 parti, soprattutto il panneggio è complicato nella realizzazione e composto di più parti. La statua fu realizzata con più fusioni, e le saldature più evidenti le facevano dall’interno. Ancora nelle officine che lavorano il bronzo, come ad esempio a Sommacampagna di Verona, la tecnica è la stessa, laboriosa e complicata. Una nota di curiosità: è da lì che proviene il cavallo fuori dalla sede RAI.