Chiesa di Santa Maria dei Miracoli
Fra le tante chiese degne di visita a Brescia, ve ne è una che spicca in modo particolare, per la ricchezza decorativa che riveste esterno e interno. Santa Maria dei Miracoli è un miracolo di intarsi su una candida pietra bianca; la sua facciata, che sembra ricamata nella pietra, è un gioiello d’arte del Rinascimento bresciano. Per chi fosse interessato a saperne di più sotto fornirò alcuni dettagli maggiori sulla chiesa, che è un po’ scostata dal centro cittadino. Per questione di sintesi mi limiterò a fornire alcuni cenni storici sulla chiesa, preferendo poi concentrarmi si significati simbolici delle immagini scolpite nel botticino.
Cenni storici
Per comprendere in pieno l’importanza che la chiesa ha rivestito nella storia di Brescia bisogna risalire alle sue origini e al motivo della sua costruzione. Era il 23 maggio 1486 quando il consiglio comunale decideva di costruire il tempio, convinto dai rinnovati eventi miracolosi (quali fossero tali miracoli non è molto chiaro) prodotti intorno all’immagine affrescata su di una casa posta in questo quartiere. A quei tempi meta di vivissima devozione erano soprattutto le immagini votive sparse per la città, specie ai crocicchi delle vie e illuminate di notte da lampade ad olio che proiettavano la loro fioca luca a beneficio dei nottambuli e sostituivano la mancante illuminazione pubblica. Il popolo che le chiamava sentelle, le circondava di venerazione, le ornava di fiori, di veli o damaschi, le proteggeva con cancellate di ferro o piccole saracinesche di legno, si prostrava dinanzi ad esse sciogliendo preghiere o canti. Ed è proprio in questo clima culturale che nasce la chiesa dei Miracoli, ma questo da solo non basterebbe a spiegare una tale meraviglia d’arte se non si ricorda la nuova civiltà, quella rinascimentale che nei Miracoli e nella Loggia ebbe la sua esaltazione più esplodente e più evidente. Il Rinascimento è fatto anche di queste contraddizioni: da una parte sorgono delle costruzioni sfolgoranti d’arte come la facciata di questa chiesa e la Loggia, sintomo di una vivace civiltà artistica, economica e sociale, ma dall’altra si vive un clima di guerre, epidemie, povertà.
Le premesse
Era il 1484 quando in città circolò la voce di miracoli segnalatissimi che avvenivano intorno alla immagine di una Madonna con Bambino dipinta sulla facciata della casa di certo Palaboschi. Su sollecitazione dei fedeli, l’amministrazione comunale si occupa dell’acquisto della casa, pagata con le elemosine dei devoti. Ben presto dietro al muro di facciata, sul quale era dipinta l’immagine taumaturga, sorge un oratorio o chiesetta per raccogliervi i fedeli quando l’inclemenza del tempo e della stagione non permetteva ad essi di sostare sulla pubblica strada. Di lì a poco, grazie alle generose offerte dei fedeli e alle finanze pubbliche, quel piccolo oratorio sarebbe diventato un vero monumento artistico. La facciata così riccamente decorata potrebbe essere avvicinata alla Certosa di Pavia. La fabbrica della chiesa fu terminata nel 1500, e l’immagine miracolosa della Beata Vergine era stata voltata verso l’interno.
Al primo sguardo, il Santuario di Santa Maria dei Miracoli appare oggi al visitatore, nel suo esterno e nel suo interno, come un’opera complessivamente unitaria sia nelle sue linee architettoniche che nella sua ricchissima ornamentazione di sculture in bianca pietra di Botticino. Eppure esso è in realtà la risultanza di numerosi e continuativi interventi, durati non meno di tre secoli, attorno ad un’unica idea originaria.
Il protiro – edicola
Esaminiamo ora le meravigliose decorazioni scolpite nella zona bassa della facciata ed soprattutto osserviamo le quattro colonnette e le due paraste del protiro-edicola, e infine le quattro grandi lesene che gli si affiancano, due a destra e due a sinistra, riempite fittissimamente da ornati che formano candelabre, contenenti la più straordinaria varietà di forme vegetali, di oggetti simbolici, di figure mitologiche:
vasi riccamente decorati, ricci di foglie aggruppate, pellicani, paffuti cherubini, salici mascheroni, satiri scherzosi, fiaccole e croci, picche e tridenti, cornucopie e alate chimere, arieti e salamandre, aquile e serpi, spighe biondeggianti, fiori in festoni, frutta variata, api ronzanti, turiboli e navette, ampolle ed urne e lampade votive e gonfaloni e scudi sui quali riproducesi ad ogni tratto il leone rampante dello stemma cittadino. Architrave, cornicione e riquadri di modanature squisite, fregi e decorazioni con fogliami maestrevolmente curvati, ricchi pur essi di emblemi sacri e profani, di trofei, di divinità boscherecce, e marine, di busti di santi, di azze, brandi, clipei, e corazze e di quanti altri ornamenti la ferace fantasia e il gusto raffinato dell’aureo cinquecento seppero suggerire agli autori di queste meraviglie. E questi decoratori avranno sicuramente guardato a certi esempi illustri come la certosa di Pavia, il Dumo di Como, la cappella Colleoni di Bergamo, il portale della Basilica di Sant’Andrea a Mantova e quindi anche alle numerose decorazioni mantegnesche che tanto sono vicine di gusto, e costituiscono degli autentici prototipi. Mantegna desume infatti i suoi temi decorativi dall’arte romana, come nella cappella Ovetari a Padova o nella pala di San Zeno a Verona. Molti di questi motivi sono stati desunti da un libro pubblicato a Venezia nel 1467: Hypnerotomachia Poliphili, ove si trovano gli stessi racemi che contornano le lettere puntate nei finti plinti, le stesse epigrafi greche ed ebraiche inventate o desunte dai testi, i nastri, i delfini, i bucrani, le arpie e gli animali di fantasia della facciata, le cornucopie, le armi, gli scudi, le palme, le aquile, i rettili, il grifone alato. Un caleidoscopico decorativismo ove ad una fantasia inesauribile si coniuga un’attenta definizione del particolare.
Le paraste
Tentiamo ora di dare una spiegazione iconografica ed iconologica alle quattro straordinarie candelabre che di tutta la facciata formano certo il momento saliente per qualità d’invenzione e raggiungimenti stilistico.
La prima di sinistra sviluppa il tema del Fuoco e della Fede attraverso il quale l’uomo peccatore si redime e sale verso Dio. Cerchiamo di districarci in questo fittissimo viluppo di figure e simboli per cercare di trovare un messaggio di tipo religioso:
in basso è collocato il teschio alato, nelle cui vuote orbite si introduce un serpentello, mentre al di sotto, entro un altare, arde il fuoco. Il teschio deve essere interpretato – attraverso la simbologia biblica del Golgota – come il teschio di Adamo; il piccolo serpente simboleggia il tentatore che ha fatto morire il primo uomo; le ali di cui il teschio si fregia rappresentano la possibilità che Dio ha dato all’uomo di innalzarsi liberandosi dal peccato. Come ciò potrà avverarsi? Attraverso il sacrificio – l’ara sacrificale collocata in basso – di Cristo, e la fede del’uomo – il fuoco. Del resto il tema del fuoco vien rappresentato ben cinque volte in questa candelabra, che termina in alto con un vaso entro cui arde il fuoco della fede. A metà della candelabra si legge un motto in greco”Mèden ágan”, cioè “nulla è di troppo”, vale a dire che nulla è troppo arduo per la virtù della fede che arde sotto il teschio, ed, in alto, nel vaso sopra la candelabra.
Poi, c’è indubbiamente un tema ricorrente che fa da comune denominatore ai concetti teologici sviluppati nelle quattro candelabre, e cioè il tema della fugacità del tempo, che compare sotto forma di allegorie:
- Il teschio con il serpente nella prima di sinistra (il serpente rimanda alla circolarità del tempo)
- Le due sfingi nella seconda (la sfinge è simbolo dell’eternità del tempo perché, solo tra gli animali, ha la proprietà mitica di rigenerarsi dalle proprie ceneri
- Altre due sfingi o chimere nella prima di destra
- La clessidra nell’ultima di destra
La seconda candelabra di sinistra sviluppa il tema della Carità (il pellicano in alto che dà da mangiare ai propri nati strappandosi la carne dal petto), con una gran profusione di motivi decorativi, fra i quali spiccano gli uccellini e le testine di cherubini
Nelle due candelabre di destra si sviluppano altri due temi cristiani: ancora il pellicano ardente di Carità nella prima, con l’uccello che arde tra le fiamme in cima alla candelabra, uccellini, turiboli, fiaccole;
Nell’ultima di destra il tema è il tempo che rende onore alla Giustizia; qui si vede una clessidra (il trascorrere del tempo) sopra la quale è appoggiata una bilancia (metafora della Giustizia divina che viene ribadita dal cartellino che sta a metà della candelabra: ERRORIS POENITEAT pentiti dei tuoi errori: cioè un ammonimento a pentirsi fino a che si è vivi, perché il tempo farà trionfare la giustizia di Dio).