Perle del Rinascimento mantovano

Tra chiese e palazzi 

La Mantova Rinascimentale

Mantova porta con leggerezza il peso di una grande tradizione di civiltà urbana segnata dal genio di Leon Battista Alberti, di Andrea Mantegna e di Giulio Romano. E sono loro i tre protagonisti di questo percorso cittadino. Mantova già seduce chi vi arriva dal ponte di San Giorgio. Il Castello si para subito dinnanzi quasi a non voler perder tempo con le presentazioni. “Eccomi qua, sono la città dei Gonzaga”. 

Consumata l’emozione dell’ingresso scenografico, c’è appena il tempo di girare l’angolo ed accorgersi che il castello di bonaria impronta militaresca si lascia avvolgere e poi nascondere dalla facciata orlata di palazzo Ducale, il volto civile del potere dinastico che domina la celebre piazza Sordello, nucleo originario della civitas vetus, centro pulsante della città rinascimentale. 
Facendo ruotare lo sguardo lungo tutto il perimetro di questa piazza ci scopriamo immersi in un quadro storico, di una severa teatralità urbana. Al Palazzo Ducale fanno corona fanno corona con discrezione gli altri palazzi del potere signorile. C’è anche il Duomo, dedicato a San Pietro, ma è significativo che esso non abbia qui la centralità che di solito le cattedrali hanno nel centro storico delle città italiane. La varietà dei suoi linguaggi architettonici è impressionante: il sontuoso interno di Giulio Romano è cinquecentesco, ma la facciata del Settecento convive arditamente con il campanile romanico e con il fianco tardogotico. 

Piazza Sordello fu teatro della cruenta battaglia contro i Bonacolsi che consegnò Mantova ai Gonzaga, ma anche e soprattutto di feste e tornei cavallereschi. Bisognava impressionare il popolo e gli ospiti. Si andava spesso fuori bilancio ma questo non era “affar di principe”. Qualche nuova tassa, e via. A farne le spese era più che altro il contado. Ma ne valeva la pena. Questo era il palcoscenico del potere. Qui si esprimeva la magnificenza dei Signori. Qui approdavano in visita pontefici e regnanti. Qui venivano accolti perché potessero esercitare il loro genio artisti di grandissimo valore. 

Quattro secoli per una dinastia non vi sembrino pochi. Diciamo pure che è un record assoluto per l’Italia dei piccoli Stati. I Gonzaga ebbero dunque il tempo di celebrarsi con monumenti, chiese e palazzi e comunque dettero un’impronta definitiva alla città che oggi noi ci deliziamo di visitare. Lo fecero fin dall’inizio con sapienza urbanistica, operando con moderazione su un tessuto medievale nel quale gli studiosi sono certi di riconoscere le radici arcaiche dell’insediamento rubano. 

Ludovico II appare come il padre fondatore della dinastia e come tale si lascia celebrare dal Mantegna nella Camera Picta o Camera degli Sposi, forse l’opera d’arte che meglio d’ogni altra celebra lo spirito “signorile” che penetra e pervade il Rinascimento. È il racconto straordinariamente laico di come una famiglia eserciti, a tutto campo, il potere e se ne compiaccia. 
La Mantova “opera d’arte” che noi oggi conosciamo può essere letta proprio a partire dall’esigenza che Ludovico ebbe di elevare di rango la città e quindi la sua casata. Il modello romano, che scelse per ragioni politiche, gli consigliava di abbellire la città senza stravolgere l’antico e solido tessuto. Fu oculatissimo committente. Si servì di consulenti eccelsi come Brunelleschi e Leon Battista Alberti per segnarla con un’architettura innovativa che alla fine traccerà una sorta di percorso gonzaghesco dentro la città rispettandone storia pregressa e identità. Oggi si chiama “politica del consenso”. 

Naturalmente, parlando di Mantova, non ci si può fermare a Ludovico. Gli succederà, dopo un breve interregno, una coppia di sposi abilissima, Francesco Gonzaga e Isabella d’Este: il più celebrato capitano di ventura del tempo e la “signora” per antonomasia del Rinascimento italiano. Lui fu maestro perché sapeva, come pochi altri, barcamenarsi tra i potenti del tempo pur di portare a casa lauti ingaggi da condottiere: ingaggi che la moglie avrebbe saputo investire in una politica d’immagine e di relazioni pubbliche che il marito a sua volta avrebbe trasformato in influenza e potere. L’apogeo dei Gonzaga, che si lega al nome di isabella, sancisce la separatezza tra la Corte e la città, una separatezza che verrà in qualche modo esasperata, in pieno Cinquecento, con l’entrata in scena di Giulio Romano e con la realizzazione di Palazzo Te. Il manierismo giuliesco celebra qui il suo trionfo e la civiltà urbana tocca il suo culmine. Oggi i mantovani e i loro ospiti se ne beano. 
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