Guida turistica Palazzo Te a Mantova

Il palazzo così come la decorazione interna sono frutto del genio di Giulio Romano

Palazzo Te di Giulio Romano

Cenni storici

Con la nostra guida turistica per Palazzo del Te di Mantova scoprirai che  fu fatto costruire da Federico II, un uomo libertino che amava la bella vita e le belle donne. Nel 1525 diede ordine a Giulio Romano di erigere una villa suburbana estiva che dovesse servire come alcova, rifugio dagli intrighi della corte, dove poter vivere liberamente le sue passioni amorose. È una delle ville più belle e famose del Cinquecento italiano, ispirata a quelle superbe di Roma, una sorta di villa romana in miniatura. L’edificio si sviluppa in senso longitudinale, è basso ed allungato. La parte architettonica fu costruita fra il 1525 e il 1526, ma i lavori di decorazione richiesero lunghi anni e si protrassero fino al 1535.

L'architettura 

Durante le visite guidate a Palazzo del te apprezzerai questo capolavoro dell'architettura umanistica non solo d’Italia. L’edificio si svolge in larghezza su pianta quadrata, con cortile centrale d'onore e un vastissimo giardino retrostante, chiuso da un’esedra. Il gioco dei bugnati dà all’architettura una tonalità raffinatamente rustica, che doveva accordarsi con l’ambiente naturale che lo avvolgeva. Le fruttiere venivano usate per custodirvi aranci, limoni e piante ornamentali che durante l’estate servivano per adornare i giardini del palazzo. L’impianto di Palazzo Te è quello della villa rinascimentale di campagna, però qui l’armonia degli elementi decorativi viene interrotta per creare più movimento e automaticamente stupore in chi osserva: se osserviamo ad esempio il Cortile d'Onore, il bugnato rustico si combina male con l’eleganza della colonna dorica delle semi-colonne, i triglifi della trabeazione non dovrebbero scivolare verso il basso, così come i timpani sopra alle finestre cieche non dovrebbero spezzarsi. Sono chiari elementi di rottura dal canone estetico rinascimentale, e di fatto Palazzo Te assurge a simbolo del Manierismo italiano.

Mantova è anche la patria di Virgilio famoso per la divina commedia. Qui di seguito un video che mostra cosa direbbe Virgilio di Mantova.

Camera di Ovidio 

Il committente Federico II era classicista e uno dei poeti più amati del Rinascimento italiano era Ovidio, soprattutto per le sue Metamorfosi. Nella prima stanza che si incontra durante il percorso di visita vengono rappresentati degli episodi ripresi dalle Metamorfosi in cui si vedono degli uomini o gli dei che cambiano e si trasformano. Non sappiamo perchè sia stato scelto questo soggetto, ma possiamo avanzare delle ipotesi. Forse le Metamorfosi sono racconti di crisi che affrontano il tema dell'uomo che cambia. La camera faceva parte dell’appartamento privato di Isabella Boschetti, cortigiana e amante del marchese Federico. Di fatto, si respira ancora oggi un’atmosfera di alcova, di una raffinata serra d’amore per gli incontri clandestini fra Federico e la sua amata. Nel punto di intersezione fra la copertura lignea del soffitto e l’architrave dipinta sulla parete di settentrione compare un frammento di decorazione a fresco del 1500 che testimonia che l’opera di Giulio Romano si sovrappone a una fabbrica gonzaghesca preesistente del ‘400 (la palazzina delle vecchie scuderie).

Camera delle Imprese

Durante le visite guidate capirai che la stanza equivale a un piccolo dizionario figurato dell’emblematica gonzaghesca. Una scienza molto amata nel Rinascimento era l’araldica. E va detto che nelle corti dei Signori lavoravano al loro servizio anche degli abili araldisti che ideavano per il loro padroni stemmi ed emblemi. Gli stemmi araldici sono delle immagini simboliche che rimandano a colui che li ha commissionati. Spesso si allude a una caratteristica di un personaggio nobile avvalendosi di immagini, figure, animali e via di seguito. Un'immagine araldica serve per dimostrare con immediatezza un attributo o uno speciale connotato di un ricco nobile che ne ha pagato la realizzazione. Come nella Sala dei Cavalli che incontreremo dopo e in quella di Ovidio precedente anche qui vi sono strani effetti di precarietà dell’edificio dati dalle architetture dipinte: il soffitto ligneo, a cassettoncini con girali e mascheroni, poggia sui canestri di frutta dipinti. Il soffitto è quindi sostenuto da un elemento illusivo come la pittura, sarebbe come a dire sul vuoto fisico. 

Camera del Sole 

Il Palazzo Te viene anche definito palazzo dei lucidi inganni: Giulio Romano escogita degli elementi per farci credere quello che non è. La stanza è stata ristrutturata secondo i dettami dell’aula basilicale romana, sul soffitto a forma di carena di nave rovesciata è stata riprodotta una trama di quadrilateri, che spesso erano aperti, e alle pareti bassorilievi in gesso e busti fatti sul modello dei busti ellenistici ritrovati durante gli scavi di Roma alle Catacombe e ai Fori Imperiali. 
I bassorilievi e altorilievi che ornano questa stanza non sono in marmo come potrebbero sembrare a prima vista. Qui a Mantova il marmo non esisteva, in realtà sono in stucco, anzi un impasto di stucco e polvere di marmo per conferire loro la parvenza del marmo. Quindi Giulio Romano emula un materiale di cui in realtà Mantova era priva. 
Al centro del soffitto sono impressi figure di muse, divinità, animali e simboli, che danno un senso di pacatezza e al centro del soffitto si apre un varco, una prospettiva aerea di richiamo mantegnesco. Viene raffigurato Apollo che guida il Carro del Sole: il Sole sta tramontando mentre la Luna cresce. Il Carro di Apollo, tirato da vigorosi corsieri, sta per inabissarsi, Diana, sorella gemella, subentra al fratello. Il Sole e la Luna rappresentano il ciclo vitale celeste, l’alternarsi delle fasi della vita.

Cortile d'Onore 

Giulio Romano trova qui delle architetture preesistenti: le scuderia della famiglia Gonzaga, noti allevatori cavalli. L'artefice si ritrova quindi a dovere ricreare l’edificio e qui dà sfogo alla sua abilità e alla sua fantasia architettonica. La parete è suddivisa in scompartiture ora lunghe ora brevi rinunciando così all'armonia. Nelle finestrature brevi vi è inserita una nicchia e in quelle lunghe una finta finestra. Tutto è movimento e c’è molto dinamismo.
Mentre nei palazzi romani progettati da Bramante e Raffaello le superfici a bugne compaiono solo nel basamento, qui a Mantova è tutto un crepitare, un pullulare di bugne più larghe e più strette, rustiche e levigate, squadrate e amorfe. Il fregio è spezzato da triglifi che appaiono sul punto di scivolare nel cortile sottostante. Il Giardino d’Onore veniva illuminato con fiaccole e torce e inoltre venivano stesi dei tappeti che si perdevano poi all’interno del giardino a forma di labirinto.

Loggia delle Muse 

Nella lunetta sul frontone sopra l'ingresso della Sala dei Cavalli si intravede Apollo e la Ninfa Castalia, che Apollo trasforma in fonte e sorgente di musica e poesia. Fonte Castalia nasceva sul Monte Parnaso, che era il monte abitato dalle Muse e che diventa simbolo della poesia e dell'arte. Attorno alla ninfa un sestante ed una sfera armillare fanno pensare alla celebrazione delle Arti del Disegno, dell’Architettura e dell’Astrologia. Nella lunetta di fronte, invece. il mito di Pegaso: il cavallo alato che con un colpo di zoccolo fece scaturire il fiume Ippocrene, le cui acque hanno l’arcano potere di rendere poeta chi le beve. Nella lunetta sono dipinti anche una penna, una maschera, un libro e un calamaio, simboli della poesia tragica e della poesia lirica. Sulla volta volteggiano numerose muse, ispiratrici della poesia, della storia, della musica, delle arti e dell’astronomia.

Sala dei Cavalli 

Fu il marchese Ludovico II Gonzaga a fondare su larga scala gli allevamenti dei cavalli che venivano stimati tra i più splendidi d’Europa. I cavalli delle stalle gonzaghesche erano i migliori d’Europa, erano richiestissimi da Prìncipi e Sovrani e i Gonzaga traevano buona parte dei loro introiti dalla vendita dei cavalli. Nelle scuderie gonzaghesce si allevavano dei purosangue spagnoli, turchi e africani. Quindi questa sala ci ricorda l’originaria destinazione del luogo a scuderie. Sulle pareti sono stati raffigurati i migliori esemplari dei loro allevamenti: Morel Favorito e Glorioso sono dei ritratti che si ispirano a cavalli reali. Il pavimento è stato rifatto su quello originario e ripete il motivo del soffitto. Tra il soffitto a cassettoni e l’architrave dipinta c’è un fregio a girali vegetali: l’effetto è che il soffitto sembra gravare su una decorazione pittorica, creando l’illusione di librarsi senza peso nella sala, privo come è di sostegno reale. La pavimentazione è di fattura recente e il disegno geometrico è speculare alle geometrie del soffitto

Sala di Amore e Pische 

È la sala centrale ed in effetti richiama il senso dell’edificio. Qui troviamo il mito di Amore (chiamato anche Cupido), figlio di Venere, che si innamora di Psiche, la donna più bella del mondo. Venere concede a Psiche di incontrare il figlio solo con la promessa che non avrebbe mai dovuto vedere il suo amante in viso. Istigata dalle sorelle invidiose, Psiche nottetempo si avvicina a Cupido con una torcia ad olio e scopre la bellezza di Amore, che però viene svegliato da una goccia di olio che cade disgraziatamente su di lui. Amore fugge adirato, Venere viene a conoscenza dell'accaduto e costringe Psiche a sottoporsi a delle prove per riconquistare Cupido. Venere era gelosa del figlio e soprattutto della bellezza di Psiche e quindi la sottomette a delle prove impossibili: ad esempio deve dividere i grani dai ceci. Psiche comunque viene sempre aiutata (ad esempio dalle formiche nel caso dei ceci), o da qualche commissario di Cupido. Alla fine Giove decide che le prove che aveva superato erano sufficienti e quindi può ricomporsi a Cupido. 
Il mito è anche stato riletto in chiave cristiana, rimanda percorso dell’uomo per arrivare alla purificazione, dall’amore carnale si arriva al vero amore. La  disposizione delle scene del soffitto non segue un ordine logico. 

Sala dei Venti 

Stanza che ci lascia intendere una delle caratteristiche della cultura rinascimentale del tempo, e cioè la credenza che gli astri possano influire sulla vita degli uomini. Nel Rinascimento, paradossalmente, si insinuano degli atteggiamenti irrazionali come l’astrologia e le scienze occulte. Nell’ansia di essere informati sui propri destini, molti Prìncipi del Rinascimento si circondano di astrologi. I nobili a quel tempo pagavano e ospitavano nelle loro corti degli astrologi, che venivano consultati prima di prendere delle decisioni importanti.  Come lascia intendere l’iscrizione latina incisa sulla porta DISTAT ENIM QUAE SYDERA TE EXCIPIANT (le umane sorti dipendono dal volere delle costellazioni). 
Sotto ai segni zodiacali sono stati riportati degli episodi avvenuti sotto l’influsso di ognuno dei segni zodiacali riprodotti sul soffitto; vengono raccontate 12 azioni degli uomini determinate dalle influenze astrali. Questo serve per indicare che per arrivare alle sommità del Pernaso Federico deve fare fatica, la strada è tortuosa e deve combattere contro gli influssi negativi dei segni zodiacali; la salita non è facile e le vie che portano alla cima sono tortuose.

Sala dei Giganti 

Capolavoro della storia dell’arte. Qui l’arte del Manierismo raggiunge i suoi vertici. Le pareti e il soffitto costituiscono un unicum e diventano un grande trompe l’oeil. I Giganti, fratelli di Giove, osarono voler dare la scalata al Monte Olimpo (si vede il Dio della Terra, Venere spaventata, Giove che lancia i fulmini); l’attacco venne fatto quando gli dei stavano banchettando quindi sono tutti presenti. Un'aquila si erge sul trono imperiale. 
Per la prima volta in Europa si assiste qui alla eliminazione delle pareti del soffitto, il visitatore entra a far parte della scena, all’epoca il pavimento sembra fosse concavo e disegnato a finto ciotolato. Sullo sfondo si vede Mantova, visione dal vero con prospettiva della città su Palazzo Te. 
Qui la visione del mondo manierista di precarietà e insicurezza si riflette nel fatto che i Giganti soccombono, hanno perso, a causa della loro superbia, le sembianze umane e sono diventati facenti parte della distruzione, possono essere scomposti in pietre. Nella riproduzione delle figure non si segue più l’euritmia classica, ma tutto è esagitazione, il corpo umano viene esagerato e tutto è disarmonia. L’inesauribile fantasia di Giulio raggiunge nella Sala dei Giganti i vertici dell’arte creando qualcosa di unico in Europa. Il soggetto raffigurato è mitologico e si riferisce alla vendetta di Giove sui Giganti che avevano osato cospirare contro di lui. Nella Sala, coperta da una speciale volta a forno, i giganteschi corpi dei Titani si torcono sotto il peso delle crollanti strutture, colpiti dalla furia dell’irato Zeus, in un’atmosfera tragica e spaventosa, che un tempo era accentuata dal riecheggiare di rumori sulle pareti studiate appositamente da Giulio Romano, per ottenere particolari effetti acustici, come se le voci rotte e lamentose dei Giganti si potessero udire assieme ai tonfi dei massi che rovinano su di loro. La scena era illuminata dai bagliori provenienti da un camino “di strana foggia” dai cui fori praticati ad hoc uscivano fasci di luce che colpivano ad arte i volti esterrefatti dei Titani. La scena della lotta tra i Giganti e Giove è desunta dalle Metamorfosi di Ovidio. Anche in questo caso si sovrappone allo spunto mitologico un intento celebrativo di attualità: in Giove si identifica Carlo V e la decorazione della stanza diviene quindi una metafora politica con l’esaltazione del potere imperiale. 

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