Duomo di San Pietro a Mantova
Il duomo di Mantova è una Cattedrale, ovvero la chiesa più importante della Diocesi, prende il nome da Cattedra, cioè la chiesa da dove idealmente il Vescovo svolge la sua missione di “maestro in cattedra”.
La Facciata
Essendo la chiesa cittadina più importante è stata oggetto da sempre di continui rifacimenti ed abbellimenti, in particolare la facciata, rifatta nelle sue forme odierne alla metà del ‘700 per volontà del Vescovo di allora Antonio Guidi di Bagno in quanto quella precedente si era deteriorata. Il Vescovo di Bagno per contrapporsi all’autorità austriaca voleva far vedere che sapeva fare delle opere belle e durature.
La facciata di oggi mostra uno stile tardo barocco e fu progettata da Nicolò Baschiera, che era ingegnere militare di Roma. La facciata riflette un po’ le forme di tante chiese di Roma costruite nel Settecento, i riferimenti a Roma sono molteplici. La facciata ricalca la struttura di quella precedente, con una parte centrale più stretta e alta e due ali laterali più basse.
In alto le statue raffigurano ai lati della croce al centro i Santi Pietro e Paolo. Pietro poiché la Cattedrale è intitolata a San Pietro, e San Paolo non solo perché i due santi vanno sempre insieme, ma poiché parallela a questa chiesa c’era dentro il Seminario una chiesa dedicata a San Paolo.
A sinistra poi si riconosce il Papa San Celestino I, infatti in Duomo c’era una volta il suo corpo, che andò bruciato nell’incendio del 1545. E dall’altra parte S. Anselmo, patrono della città. Nelle ali più basse da sinistra abbiamo Santa Speciosa, poi San Luigi Gonzaga e sulla destra il Beato Giovanni Bono e la Beata Osanna Andreasi. Fra il balcone e il portale centrale c’è una lapide che riporta il nome del Vescovo che rifece la facciata e sotto – pro bono pacis – anche il nome di Maria Teresa d’Austria.
L'Interno
L'interno ha tante particolarità che rendono questa chiesa unica ed ineguagliabile. Nella notte fra il 31 marzo e il primo aprile del 1545 (fra il Giovedì e il Venerdì Santo) dopo la Messa in Cena Domini il Santissimo Sacramento fu portato nella Cappella di San Celestino, con candele, fiori, drappi ed ornamenti. Durante la notte scoppiò un incendio che ridusse in cenere i resti di San Celestino e danneggiò la chiesa. Un danno però riparabile. In quel tempo teneva ogni autorità il Cardinale Ercole Gonzaga, Vescovo e Reggente del Ducato per conto del nipote che era minorenne. Quindi aveva in mano sia l’autorità religiosa che quella politica.
E perciò ne ha approfittato per procedere a un intervento radicale. E addusse a giustificazione il fatto che nelle altre città c’erano delle bellissime cattedrali e quella mantovana era vecchia e brutta. Fu lui quindi a commissionare all’architetto ducale Giulio Romano un rifacimento completo dell’interno. Il Romano nel giro di pochi giorni presentò il progetto e furono subito iniziati i lavori, solo che purtroppo di lì a poco il Romano muore, quindi questa fu la sua ultima opera.
La prima fu Palazzo Te e questa è l’ultima, ma non meno importante della altre, anzi per certi aspetti lo è di più. I lavori procedettero secondo il progetto di Giulio fino al transetto. Per il resto non possiamo non possiamo saperlo. La parte scandita dalle navate ha la solennità delle antiche basiliche paleocristiane di Roma, che l’architetto conosceva molto bene essendo Roma la sua città d'origine.
Le chiese di Roma furono le prime ad essere costruite dopo che i Cristiani ebbero la libertà di culto con Costantino nell’anno 313. Giulio Romano si ispira alle prime basiliche paleocristiane costruite a Roma, in particolare San Pietro (come era allora, non oggi), Santa Maria Maggiore, San Paolo fuori le Mura, Santa Sabina ecc… per costruire una Basilica, quindi con le file di colonne e le navate. Quindi qualcosa dall’aspetto solenne.
Ma c’è un motivo politico religioso per il quale il Romano ha fatto una basilica ispirandosi alle prime chiese di Roma, poiché erano i tempi in cui la chiesa cattolica doveva fronteggiare i protestanti. Nel 1545 era appena cominciato il Concilio di Trento, che si è tenuto per rimediare all’azione di Lutero e dei suoi seguaci. I protestanti, per esempio, annullavano il valore della tradizione.
Qui invece, allacciandosi alle prime chiese di Roma si voleva ribadire il valore della tradizione. Va anche detto che Giulio Romano era un architetto del suo tempo, quello del Manierismo. È quel nome che si dà oggi all’ultima fase del Rinascimento. Qualcuno dice che è stato Giulio Romano a inventare il Manierismo con Palazzo Te. È una corrente che si caratterizza per la voglia di introdurre nello schema generale del linguaggio classico delle novità, delle varianti, elementi insoliti e sorprendenti.
Qui Giulio Romano si ispira alle basiliche romane dei primi secoli, ma ci mette qualcosa di suo, cioè di manierista. Cosa? intanto teniamo conto che nel suo progetto le cancellate della cappelle laterali non c’erano, e oltre a queste cancellate non vi sono delle vere cappelle, ma è uno spazio corrente, è un’altra navata. Perciò vi sono 7 navate, è l’unica chiesa nata con 7 navate in Italia.
È una particolarità che dovrebbe stupire, sorprendere. Poi se guardiamo verso l’alto, le coperture, notiamo al centro una copertura orizzontale a cassettoni dorati, e le due navate adiacenti sono a volta a botte, con lacunari a ricami. Quelle adiacenti di nuovo orizzontali, e quelle estreme sono curve nella forma di piccole volte a botte alternate a cupolette. Quindi c’è una varietà di copertura: orizzontale, curva, orizzontale, curva. Un ritmo davvero inconsueto.
Da notare anche le figure, che nelle chiese non sono fatte solo come ornamento, ma hanno uno scopo didattico. Devono insegnare e trasmettere qualcosa. Nessuno sapeva leggere, ma tutti sanno interpretare le figure. Lungo la navata centrale è stato pensato uno schema di figure molto significativo, sono una serie di statue che sviluppano l’argomento della Redenzione. Da una parte i Profeti dell’Antico Testamento indicano la redenzione annunciata. Poi abbiamo l’altare principale, dove la redenzione realizzata si rinnova ogni volta che si celebra la messa, e poi dietro l’altare nell’affresco c’è la redenzione esaltata, glorificata, celebrata.
Queste sculture ad alto rilievo presentano i Profeti, ma non solo, con grande sorpresa, essi si alternano con delle figure femminili, le sibille. Non è una cosa inedita, perfino nella Cappella Sistina le grandi figure della volta sedute sui troni alternano Profeti e Sibille. Chi sono le sibille? Erano dei personaggi immaginari, inventati di prima di Cristo, che si diceva fossero vissute in vari luoghi del mondo pagano. Le sibille erano o 6, o 12, o 24, non si sa bene, e davano i responsi.
Erano quelle che la gente andava a consultare quando avevano da prendere delle decisioni. Solo che davano responsi sibillini, cioè che non si capiva che cosa dicessero. Però c’erano gli addetti che interpretavano e mettevano in bocca a loro quello che volevano. Nel Medioevo fu ritrovato un manoscritto attribuito alla Sibilla Tiburtina (quella di Tivoli), e in questo libro c’erano i suoi responsi, e in alcuni di questi qualcuno ha creduto di ravvisare dei paralleli con le frasi dei profeti dell’Antico Testamento.
Perciò si è formata l’idea che quei responsi fossero non solo della Sibilla Tiburtina, ma di tutte le sibille, quindi hanno celebrato le figure delle sibille, pensando che fossero l’equivalente dei profeti per il mondo pagano. Quindi Dio nella sua bontà ha mandato i profeti al popolo ebraico a preparare la venuta del Messia, ma ha mandato le sibille per preparare i popoli pagani. Ovviamente tutto questo è falso, però ha avuto fortuna. E allora dal medioevo fino al Seicento, per tutto il Rinascimento, che era un periodo così razionale, i massimi artisti del Rinascimento presero per buone le Sibille.