Chiesa di Santa Maria del Gradaro
Il documento più antico che cita l’edificio sacro è una pergamena del 19 marzo 1224. Ai tempi doveva trovarsi qui una cappella dedicata alla Vergine e un oratorio. In seguito, nel 1256, su di essi sarebbe stata edificata la chiesa di Santa Maria del Gradaro. Risale invece al 1292 la prima pergamena in cui la chiesa viene definita Santa Maria de Credario. La data ufficiale in cui i lavori furono terminati è inscritta su una lapide sul portale in facciata, 1295, anno in cui il portale fu eseguito. Nel 1454 il convento, trasformato in monastero, passò ai Benedettini Olivetani e nel 1535 divenne abbazia.
Origine del nome
Il nome Gradaro, da Cretarium, compare per la prima volta in un documento della metà del secolo XII. Ci troviamo in una zona di ambito cittadino, ma fuori del perimetro della città e dei suoi sobborghi. In quel momento c’erano altri luoghi di uguale denominazione appena fuori dalla città, quindi non siamo certi che quei documenti si riferiscano proprio a questa chiesa. Ma la certezza che l’attuale Gradaro fosse così denominato nel Medio Evo è data da un documento del 1277, il quale ricorda la chiesa di S. Maria “de Credario in civitate Mantua”. La zona dell’Anconetta era costituita da un terreno di prevalenza in creta (Gradaro deriva da creta), argilla.
Premesse storiche
I primi religiosi e le prime religiose del Gradaro appartenevano all’Ordine di San Marco. E la caratteristica di questo ordine era quella di tenere presso la stessa chiesa frati e suore in un’unica comunità giuridica. Fu un ordine che decadde già alla fine del Trecento per mancanza di vocazioni. Con la scarsità dei canonici e delle suore giunse per il Gradaro anche la decadenza degli edifici e il loro abbandono. Sarà Barbara di Brandeburgo che provvederà a sostituire l’Ordine di San Marco con quello degli Olivetani, che arriveranno qui da Verona nel 1454. I Monaci Olivetani, al loro arrivo, dovettero darsi prima di tutto a un lavoro di restauro indispensabile. Se vi furono degli indugi da parte dei religiosi prima di accettare l’offerta di Lodovico e Barbara Gonzaga lo si deve allo stato di pessima conservazione nel quale si trovavano gli edifici. La congregazione di Monte Oliveto si rifà al Beato Bernardo Giovanni de’ Tolomei e furono ben accolti dai Mantovani. I monaci bianchi contribuirono ad accrescere la fama della propria comunità nell’arco di un secolo. Fra il Cinquecento e il Seicento la chiesa subì internamente delle manipolazioni in stile rinascimentale. Purtroppo nemmeno loro sfuggirono alla decadenza, che arrivò con la guerra di successione del 1628-1630.
Con l’arrivo degli Asburgo, questi estesero il proprio interesse sul monastero che nel 1775 fu espropriato a favore del Demanio, la chiesa fu profanata togliendo dall’interno ogni segno sacro e a cinque secoli dalla sua erezione perse completamente la destinazione a culto.
Sul luogo ove sorse la chiesa e il monastero la tradizione vuole che sia stato martirizzato e sepolto San Longino, il soldato romano che squarciò il costato di Gesù in croce. Per questo questa zona, chiamata dapprima “Cappadocia” fu poi ribattezzata “Camposanto”. Certamente già a metà del Duecento (1245) qui si trovava un piccolo oratorio. A questa prima fase costruttiva sarebbero da far risalire le due cappelle terminali delle navate centrale e di sinistra. Il loro stile, prettamente romanico, si stacca dalle altre parti della chiesa, la quale fu eretta nel 1265. Il primo oratorio era diviso in due parti: una per la celebrazione dei divini misteri e la presenza dei fedeli (la cappella terminale della navata centrale) l’altra come coro delle religiose (la cappella terminale della navata di sinistra) le quali potevano avere contatto con i religiosi attraverso la porta che ancor oggi esiste, la ruota monasteriale della quale è rimasto il foro, l’arcosolio che doveva servire per la S. Comunione delle religiose, l’arco sovrastante l’arcosolio, collegamento indispensabile perché il canto dei religiosi e delle religiose potesse fondersi in una sola lode a Dio. Le decorazioni ornamentali ad affresco di questo primitivo oratorio, di fattura pregevole, sono da ritenersi i più antichi oggi esistenti in Mantova.
Per l’abitazione dei religiosi e delle religiose si hanno pochi elementi a disposizione e una ricostruzione ideale del monastero è piuttosto problematica. Tuttavia è ipotizzabile che le monache avessero monastero e chiostro nella parte prospiciente il lago e che era in comunicazione diretta col loro coro. Mentre i religiosi abitavano dove sorge l’attuale monastero. Quello attuale fu completato nel corso del Trecento in stile gotico, dove ancora oggi si ammira un suggestivo chiostro.
La bella e suggestiva chiesa attuale fu ultimata nel 1295, anno nel quale Giacomo da Gratasoia e Ognibene da Verona eseguirono il magnifico portale dell’ingresso maggiore. La facciata originale era a capanna, ed è possibile che il portale in marmo non sia nella sua posizione originaria, vista l’eccessiva vicinanza tra di esso e il rosone.
Con il passaggio nel 1775 al Demanio dello Stato e l’assegnazione di tutto il complesso monumentale all’autorità militare, iniziò per il Gradaro il più triste periodo. Non più preghiere e vita di raccoglimento, ma strumenti di morte. L’abbandono da parte dei militari portò il complesso monumentale a uno stato pietoso e deplorevole sotto tutti gli aspetti. In particolare ne sofferse il chiostro e il monastero.
Con il 1905 iniziò una schiarita all’orizzonte. La ex chiesa, divenuta magazzino militare, venne consegnata dal Demanio dello Stato all’Amministrazione delle Antichità e Belle Arti. Ma le autorità militari lo requisirono con lo scoppio della prima guerra mondiale e vi restarono fino alla fine della seconda. Il Comune di Mantova, divenendo proprietario della ex chiesa, si assunse l’impegno del suo restauro. Questo ci restituì un edificio sacro di alto interesse artistico, ripristinato nelle sue linee originali, fin dove è stato possibile.
Il 18 giugno 1964 furono iniziati i lavori di restauro anche del chiostro, diventato assieme a tutto il monastero proprietà delle Suore Oblate dei poveri di Maria Immacolata. L’edificio ha potuto essere trasformato e reso bello e funzionale e divenire un’opera fremente di vita per la presenza delle religiose e delle giovani costrette a vivere lontane dalla famiglia, che qui trovano asilo sicuro e clima di famiglia.
Il 4 ottobre 1966 mons. Antonio Poma, vescovo di Mantova, compì la riconsacrazione dell’antica chiesa, dedicandola di nuovo all’Annunciazione della Beata Vergine, il 9 successivo, il cardinale di Mantova, Ernesto Ruffini inaugurava la ripresa della vita religiosa del Gradaro, ritornato al servizio di Dio dopo 191 anni di destinazione ad usi profani.
Interno della chiesa
All’interno un muro divide in due la chiesa. Di esso non si conosce ancora con esattezza la funzione. Potrebbe essere quanto rimane della parete che divideva la chiesa in due parti (detto tramezzo o pontile); la prima, quella interna, destinata a coro per le religiose, la seconda, quella esterna, aperta al pubblico. Quanto in piccolo si riscontra nella parte romanica, si crede di potere ravvisare nella parte gotica della costruzione, ma con proporzioni ben più vaste. Segno della numerosità della comunità femminile del Gradaro alla fine del secolo XIII.
La presenza di pilastri nella parte più interna della navata centrale e di colonne nella parte più esterna, unitamente all’apertura centrale del muro divisorio, munita di un resto di portale in marmo bianco scolpito, fa affiorare alla mente l’idea che prima della chiesa attuale esistesse, oltre che l’oratorio originario, una chiesa di dimensioni più ridotte. Essa, in seguito trasformata divenne il coro della comunità femminile e parte di un edificio più vasto.
Le dipinture
I grandi frammenti ad affresco emersi nella zona absidale e nel sacello attiguo hanno suscitato l’interesse di studiosi e critici. Essi raffigurano:
- L’ultima cena
- Tre Santi Vescovi
- Quattro Profeti
Mostrano dei caratteri bizantineggianti e un disegno angoloso. Sono inseribili nell’ambito della produzione veronese di fine Duecento, somigliano ad immagini molto simili rinvenute nell’abside di San Giovanni in Fonte e di San Zeno a Verona e pure richiamano i sei Santi della parete settentrionale della chieda di San Severo di Bardolino.
La scena dell’Ultima Cena è stata collocata in prossimità dell’altare dove si attualizza eucaristicamente quanto è a livello simbolico evocato dalla raffigurazione parietale. Anche a San Vitale a Ravenna le scene profeticamente eucaristiche sono collocate in diretto dialogo con l’altare. Sulla tavola rettangolare si riconoscono pesci, pani, bicchieri e coltelli. I colori sono vivaci e servono a coinvolgere il fedele e a renderlo più partecipe ma anche a comunicare il colore della gioia che sconfigge il dramma del sacrificio di Cristo che sta per compiersi.
Gli affreschi rinascimentali
Un altro rilevante documento pittorico di Santa Maria del Gradaro è costituito dalla decorazione ad affresco delle navate laterali. Nelle dodici lunette, sei per ogni navata, sono raffigurate scene della vita di Cristo. Le sei lunette del lato settentrionale rappresentano episodi della Passione di Cristo:
- L’ingresso di Gesù a Gerusalemme
- L’Ultima cena
- L’orazione nell’orto degli Ulivi
- La salita al calvario
- La deposizione
- La resurrezione
Mentre sul lato meridionale:
- La discesa agli Inferi
- L’apparizione di Cristo risorto a Maria
- L’incontro tra Gesù e la Maddalena
- La cena in Emmaus
- L’ascensione
- La Pentecoste
Nelle prime sei scene è inscenato il mistero della vita terrena del Cristo verso la Gloria. Le ultime sei invece è raffigurato simbolicamente il mistero operativo del Risorto: la salvezza si rivela in pienezza nella effusione dello Spirito. Nelle chiese si scrive la Bibbia per il popolo, e gli affreschi sono funzionali ad una catechesi senza tempo.